Angst (1983) di Gerald Kargl

La lunga serie di film incentrati su un serial killer ci mostrano spesso un personaggio controllato che, pur nel suo sadismo malato, rimane un passo avanti a tutti. Il film Angst dell’austriaco Gerald Kargl uscito nel 1983 sembra essere il grado zero di questa tipologia di film, con un assassino dalla sete insaziabile di sangue che non ha alcun controllo sui suoi impulsi e con la macchina cinema che lo segue dal primo istante.

L’uomo, che per tutto il film rimane senza nome, viene rilasciato dalla prigione dopo aver scontato dieci anni per aver ucciso una donna anziana e subito prova una ossessione compulsiva ad uccidere di nuovo. Dopo essere eccitato per due ragazze giovani in una tavola calda ed aver fallito nell’assassinare una tassista, fugge e scopre una casa rurale, dove vive una donna con la madre malata, il fratello disabile su una sedia a rotelle ed un cane. Mentre pensa alla sua infanzia con una madre violenta, la nonna, gli abusi subiti e i primi atti di violenza compiuti su animali, tiene in ostaggio e scatena il suo piacere sadico sui tre malcapitati.

Gerald Kargl, dopo questo film, sparirà letteralmente, realizzando solo filmati pubblicitari ed educativi, pagando lo scotto di un film che ha spaventato il pubblico per l’eccessiva crudeltà e che per questo non è stato distribuito in alcuni paesi. In realtà Angst è un film soprattutto dell’immenso sperimentatore polacco Zbigniew Rybczyński (premio oscar 1982 per il miglior film d’animazione con Tango ed autore dei più famosi videoclip della musica moderna), che lo ha sceneggiato assieme al regista austriaco e si è occupato della fotografia e del montaggio. In Angst, Rybczyński è per la seconda volta direttore della fotografia in un lungometraggio (dopo Tanczacy jastrzab – The Dancing Hawk di Grzegorz Królikiewicz del 1978) e soverchia l’intera produzione, inventando dal nulla ogni inquadratura. Attorno e sopra l’attore principale, un incredibile Erwin Leder, la mdp ruota continuamente, con angoli di ripresa fuori dall’usuale e con altezze incredibili dalle quali riprendere, come un entomologo, il minuscolo folle in preda al delirio che si aggira nel luogo del crimine. Spesso una bodycam è agganciata a Leder, come fa Scorsese in Mean street nei confronti dell’ubriaco Harvey Keitel, o ruota in un movimento ad anello che isola dal contesto l’attore.

La scientificità della trama e la valenza dell’operazione cinematografica si sono avvalse della storia vera del serial killer di Salisburgo Werner Kniesek che nel 1980 uccise tre persone per puro desiderio, mescolata con le confessioni di Peter Kürten, soprannominato “il Vampiro di Düsseldorf” che, tra il 1913 e il 1929, commise 9 omicidi e ne tentò altri 7. Questo “studio” lo percepiamo nelle parole che, come un monologo interiore, si ascoltano mentre lo psicopatico esegue le sue efferatezze. Diventano martellanti frasi come: “La paura nei suoi occhi e il coltello nel petto. Questo è il mio ultimo ricordo di mia madre. Ecco perché sono dovuto andare in prigione per quattro anni, anche se è sopravvissuta.”; oppure: ”esistono le carceri per poter migliorare se stessi. Ma quella voglia di torturare un umano, è una cosa di cui non potrei mai sbarazzarmi.”; o ancora: ”non posso sentirmi dispiaciuto per le vittime. Devo continuare a uccidere”; o infine nei confronti degli psicologi: “Così andai in carcere per 10 anni, poi gli psicologi iniziarono a nutrire interesse per la mia vita. Quando chiedevano dei miei sogni, parlavo di fiori. Fiori… sempre e solo fiori. E nonostante ciò, posso fantasticare su tutto quello che voglio”.

Il protagonista senza nome del film cerca l’appagamento della propria sete di morte ma soprattutto il soddisfacimento di una pulsione narcisistica. Non gli basta infierire sui corpi privi di vita, ma occorre esibire quei corpi dilanianti come un trofeo. Lui non ricerca l’impunità ma aspira a spaventare chi lo guarda: “Si sarebbero spaventati tutti a morte… Si sarebbero spaventati di me. Sono famoso”. A noi spettatori non rimane che venire trascinati dentro la sua stessa ossessione, senza alcuna empatia o immedesimazione, rimanendo intrappolati dentro la sua testa.

Innumerevoli sono le dichiarazioni d’amore per questo film e le influenze che ha disseminato e subito. A cominciare da Gaspar Noé che lo ha definito un capolavoro ed il miglior film mai visto su un omicida psicopatico, ispirando innanzitutto con la scena dell’assassinio nel tunnel Irréversible ed anche Seul contre tous, nella vita del macellaio mostrata fotogramma per fotogramma; in Love Murphie possiede il VHS “Schizophrenia”, titolo francese di Angst che compare anche in Climax, all’inizio del film. La colonna sonora Tangerine Dream’s di Klaus Schulze, con musica percussiva realizzata con il sintetizzatore, echeggerà nella musica di Manhunter – frammenti di un omicidio. Il film di Kargl risulta uno dei preferiti di Lucio Fulci, non sarà passato inosservato ad Haneke in Funny games, come d’altro canto la camera incollata su Leder ci ricorda Arancia meccanica ma anche tanti “snuff” americani o i filmati amatoriali visionati da Hannibal Lecter per scegliere le vittime.

Nei confini del genere horror sono molto forti le assonanze stilistico-narrative con Rosso Sangue (Absurd, 1981) di Massaccesi/D’Amato, con Nightmare di Romano Scavolini e con molti slasher movie, da Halloween di John Carpenter a Black Christmas di Bob Clark, passando per A Nightmare on Elm Street di Wes Craven e The Texas Chain Saw Massacre di Tobe Hooper. Nel più calzante filone dei serial-killer cinematografici rappresenta l’anima europea del già analizzato Henry: Portrait of a Serial Killer di John McNaughton, in quanto si muovono in un orizzonte privo di speranza dentro lo spazio oscuro di menti sadiche e violente, da pedinare e raccontare scevri da alcuna indagine.

Assai interessante la storia post-produttiva del film. Pur senza incontrare problemi di censura, in Austria Angst uscì per qualche settimana, vietato ai minori ma senza tagli, non incassando praticamente nulla e decretando la fine, come detto, del regista Kargl. In Francia uscì anni dopo in VHS, diventando un oggetto di culto, in un’edizione intitolata Schizophrenia. Questa versione ha subito un differente montaggio, con l’inserimento di un prologo che funzionava da antefatto (aumentando la durata da 75 a 83 minuti), così come nel DVD intitolato Fear. Nel 2006 uscì una versione DVD finalmente realizzata in accordo con Kargl che ne epurava il prologo e oscurava la sequenza dell’omicidio della giovane donna per nascondere il più possibile i dettagli più raccapriccianti. Infine, nel 2012, è stata pubblicata una versione director’s cut in Blu-ray, ancora intitolata Schizophrenia, che rimette ordine alle versioni tornando a quella originale, con la sequenza della barbara violenza scurita.

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