Apollo 11 (2019) di Todd Douglas Miller

Sono passati 50 anni dalla missione spaziale che ci ha permesso per la prima volta di mettere piede sulla Luna. Il documentario Apollo 11 di Todd Douglas Miller ci fa rivivere quei momenti indimenticabili e memorabili. Il regista e produttore statunitense, dopo essere stato premiato nel 2014 per Dinosaur 13, descrivendo le vicissitudini relative alla scoperta del più grande scheletro di Tyrannosaurus rex mai trovato, con Apollo 11 ha vinto il Sundance Film Festival per il miglior montaggio.

Molto interessanti le vicende che hanno portato Todd Douglas Miller a questo film. Nell’imminenza e in preparazione dell’impresa sulla Luna furono girate moltissime ore di immagini in formato 70 mm. Solo recentemente la National Archives and Records Administration, agenzia che si occupa di conservare documenti governativi e storici, ha riscoperto questo prezioso materiale con i dialoghi Nasa in pellicola 70 mm, di qualità eccelsa rispetto al 35 mm. Il merito di Miller è stato quello di digitalizzare le immagini in 4k e di montarle in un film emozionante di soli 93 minuti.

In primo piano naturalmente c’è la missione che ha portato Neil Armstrong e Buzz Aldrin a toccare il suolo lunare con il Modulo Eagle, assieme a Michael Collins, pilota del Modulo di comando. Tutto inizia da Cape Kennedy (oggi Cape Canaveral) in Florida con lo storico countdown, per continuare con l’allunaggio fino al ritorno sulla Terra e all’ammaraggio nell’Oceano Pacifico. Apollo 11 fa vivere lo spettatore accanto ai protagonisti, permettendoci di scoprire anche il pericolo finale. Difatti la velocità eccessiva della Eagle ha fatto finire la navicella fuori rotta verso un cratere roccioso; solo l’abilità dei due astronauti che hanno assunto il controllo manuale ha garantito, per giunta con meno di 30 secondi d’autonomia del carburante, di indirizzare il mezzo in un’area lunare più sicura. Tutti i passaggi più importanti della missione sono descritti, con un’alternanza serrata di immagini e riprese talmente esaustiva che servono solo poche infografiche per chiarire meglio l’impresa. Persino i 21 giorni in cui i tre astronauti vennero posti nell’isolamento della quarantena per “purificarsi” da un ipotetico virus mortale, sono inseriti nel documentario. Come la profonda sensazione di solitudine provata da Collins impegnato ad orbitare intorno alla Luna, senza alcuna comunicazione, mentre gli altri due “veri” eroi portano a termine la missione.

L’altro piano che permette allo spettatore di Apollo 11 di rivivere la vicenda, è la prospettiva degli spettatori dell’epoca. Non solo il lancio fu trasmesso in diretta tv in 33 paesi, ma migliaia di americani si accamparono sulle spiagge e lungo le autostrade, oltre naturalmente ai molti tecnici all’interno del centro spaziale. I volti, i vestiti, i binocoli e le fotocamere, le radio incollate all’orecchio, le sigarette e sigari fumate anche sul luogo di lavoro: questi sono i colori di un’epoca che ha vissuto in modo vero e partecipe un episodio che si percepiva importante e destinato a rimanere nella storia.

Il documentario è una testimonianza preziosa dell’interesse collettivo vissuto negli anni Sessanta rispetto al rapporto tra l’uomo e la Luna. Il discorso prima nel 1961 di John F. Kennedy su “come arrivare sulla Luna e tornare sulla Terra in sicurezza”, e poi di Richard Nixon agli astronauti dell’Apollo dalla Casa Bianca, sono stati visti con un’attenzione e un rapimento inconcepibili per la nostra epoca, così disillusa e poco attenta all’ufficialità e alla retorica. Apollo 11 di Todd Douglas Miller ci trasmette l’adrenalina di quegli otto giorni che vanno dal 16 al 24 luglio del 1969, quando realmente accade che “tutte le persone su questa Terra sono veramente una cosa sola”.

 

Di Marco Chieffa

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