Attenberg (2010) di Athina Rachel Tsangari

La 67ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2010 è stata caratterizzata dall’assegnazione della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile all’attrice franco-greca Ariane Labed. Il film in questione è Attenberg (storpiatura voluta al nome del famoso naturalista britannico) della regista greca Athina Rachel Tsangari. Si tratta di un premio interessante per capire ed approfondire le dinamiche che sono alla sua base. Si è scelta un’interpretazione non usuale nel campo cinematografico ma legata ad un tipo di cinema connotato e ben preciso, che però alla lunga può risultare datato.

Il personaggio di Marina, ventitreenne incapace di relazionarsi con gli uomini e che segue le lezioni di educazione sessuale date dalla sua amica Bella, ha il volto di Ariane Labed ed è colto dalla Tsangari nella propria crescita, senza calcare la mano su accenti o elementi didascalici e morali, lavorando invece sui dettagli e le sfumature della recitazione. In sostanza alla regista greca non interessa mai il carattere del personaggio, ma da buona “teatrante” ne imposta lo studio in maniera teatrale, con prove tecniche sull’impostazione delle parole e la posizione del corpo, delle quali il mezzo cinema è una testimonianza. Da questo assunto ne consegue una cura maniacale in sede di sceneggiatura per i dettagli e la psicologia dei personaggi.

L’altro elemento che caratterizza la prova di Ariene Labed ed il film Attenberg è l’inserimento dell’opera in un contesto cinematografico sia prettamente greco ma anche con un respiro più ampio.

Lo sfondo del film è la cosiddetta Aspra Spitia (in greco “case bianche”), ovvero un insediamento costiero istituito negli anni Sessanta da una società mineraria nella quale la Tsangari è vissuta durante l’adolescenza, per poi girare il mondo. Si tratta di una sorta di città fantasma, per la caratteristica di essere uniforme e sottopopolata, dai tratti quasi fantascientifici, simbolo di una desolazione industriale ed urbanistica. Su questo scenario si proietta un dramma della solitudine e della inadeguatezza che assume i tratti di una vera e propria allegoria politica, inserendosi così di diritto nel nuovo cinema ellenico, a fianco di film come il precedente Kynodontas (2009) ed il successivo Alpeis (2011) di Lanthimos e Miss Violence (2013) di Avranas. L’altro personaggio principale del padre di Marina, il malato terminale Spyros (interpretato dall’ottimo Vangelis Mourikis), è l’emblema della società greca in crisi, schiacciata tra una tradizione pastorale e una civiltà industriale in sfacelo, e per giunta malata, non più in grado di agire e destinata all’estinzione. Il personaggio dell’ingegnere, con il quale Marina cerca di avere la prima esperienza sessuale, è interpretato da quel Yorgos Lanthimos per cui Tsangari è stata la produttrice di Kinetta e Kynodontas, del quale il successivo Alpeis del 2011 avrà come attrice la stessa Labed e con il quale condivide lo stesso direttore della fotografia, Thimios Bakatakis, e le stesse scene di sesso e nudi contro-erotici. La vicenda produttiva di Attenberg è comune a molti film del cinema greco, visto che dopo l’esaurimento dei finanziamenti statali promessi dal Greek Film Center ha visto l’aiuto di Christos Konstantakopoulos, un investitore privato che ha aiutato il cinema greco e molti film di Terence Malick. Naturalmente anche la potenza visiva del lontano cinema greco tradizionale di Angelopoulos e Damianos viene recepita ed assorbita dalla più moderna Tsangari.

Attenberg ha anche molti riferimenti francesi, anzi può essere considerato a suo modo godardiano o, in un confronto più attuale, influenzato dall’italiano Sorrentino. Il personaggio di Marina inoltre può essere avvicinato ai molti teenager border-line che hanno popolato il cinema americano: i disadattati che soccombono come in Rushmore di Wes Anderson, o gli inadeguati che si impongono a prescindere dal mondo che li circonda come in Juno.

Nel corpus del discorso politico intessuto dentro Attenberg si inseriscono una serie di siparietti stranianti e contrappunti indipendenti. Si comincia dalla lezione di bacio con la lingua tra Marina e Bella, per continuare con le note di “Tous Les Garçons Et Les Filles” che colorano la formazione sentimentale di Marina e per finire con il balletto nel mezzo di una veglia funebre al ritmo di “Be bop kid” dei Suicide. In alternanza ci sono le tante movenze e i versi animaleschi delle due ragazze, che scandiscono il parallelo tra uomo e animale e la scoperta del sesso che emergono grazie al confronto con i documentari del professor David Attenborough. Per ragioni diverse ed opposte, Marina e Bella hanno molte difficoltà a farsi accettare e in una gara goliardica sputano fuori dalla finestra; di contro il vetro della finestra si copre di pioggia, come se il mondo rispondesse con i suoi sputi contro chi li indirizza. Ecco allora susseguirsi una partita a biliardino in solitaria, un gioco con le scapole, un panino mangiato e poi sputato e gli approcci intimi con l’ingegnere.

La Tsangari ha il merito di sublimare i molti elementi grotteschi fin qui elencati grazie al percorso verso la morte del padre di Marina, che assume per la ragazza il significato di una dolorosa ma matura assunzione di responsabilità. L’accettazione della sessualità può così andare di pari passo con l’accompagnamento del padre verso la fine, accettando se stessa e diventando finalmente una donna; è come se il filante e appiccicoso succo di aloe smettesse di essere un semplice simbolo sessuale, per diventare un balsamo che ammorbidisce la pelle seccata dalle terapie del padre morente.

L’impianto teatrale politico di Attenberg, il suo contrappunto di siparietti simbolici e di valenze interne al film giustificano dunque la prova attoriale di Ariane Labed e il successo avuto nel festival veneziano del 2010. Allo stesso tempo tutto questo connota Attenberg come esempio di un cinema che scimmiotta i suoi antecedenti e ispira nello stesso tempo altri film, legato ad una stagione ormai lontana che risente ineluttabilmente del tempo passato.

Precedente The Irishman (2019) di Martin Scorsese Successivo Joe (2013) di David Gordon Green