Avengers: Endgame (2019)

Parlare di Avengers: Endgame (2019) presuppone una consapevolezza ben precisa ed una considerazione di fondo. Queste due premesse vogliono far distinguere questo scritto sia dalle “recensioni” supponenti e falsamente colte di chi, con la puzza sotto il naso, considera questo film come un polpettone; sia dai giudizi “inseriti nel sistema”, senza capire il contesto generale.

La consapevolezza riguarda una serietà critica difficile da avere di fronte a tali film, che vengono di solito snobbati e giudicati minori rispetto all’altro cinema, d’autore o comunque inserito in una temperie culturale ben radicata. E’ giusto invece analizzare Avengers: Endgame con gli stessi strumenti che usa abitualmente un “critico cinematografico”. É dunque il 22° film basato sul gruppo di supereroi dei Vendicatori della Marvel Comics, risultato di un lavoro di sceneggiatura di Steven McFeely e Christopher Markus, sotto l’egida del produttore Kevin Feige e grazie alla regia dei fratelli Joe e Anthony Russo, i registi di Captain America: the Winter Soldier (2014), Ant-Man (2015), Captain America: Civil War (2016) e Avengers: Infinity War (2018). Il film targato Disney e Marvel Studios chiude la fase tre del Marvel Cinematic Universe, ovvero la cosiddetta Saga dell’Infinito. Questo tipo di cinema, basato su una sceneggiatura all’americana, ovvero come un prodotto matematico che misceli perfettamente elementi prestabiliti, tematiche preordinate e tempi di climax ad orologeria, va considerato e giudicato.

La considerazione di fondo mi fa dire al contrario che Avengers: Endgame non è cinema, nel senso che fa parte di un progetto che si estende oltre il cinema e passa per la televisione, non solo attraverso la serie tv, come per esempio Daredevil o Agents of SHIELD, ma anche tramite la nuova piattaforma di distribuzione digitale Disney+ che esordirà a fine anno negli Stati Uniti. Tutto ciò influisce direttamente nella strategia che sta alla base del film, come del resto prepara la fase futura che comincerà con Spider-Man: Far from Home. Non è un caso che nel plot di Avengers: Infinity War Iron Man aveva, seppur scherzosamente, promosso l’Uomo Ragno al rango di Vendicatore. Tutto è dunque legato a scelte editoriali, politiche e di marketing che stanno al di sopra della narrazione cinematografica, ma anche delle teorie, congetture, leak ed anticipazioni degli appassionati del web. Per questo il gioco degli spoiler, che sembra lo sport preferito degli spettatori, mi risulta irritante, come se il finale di un film possa essere fondamentale e non il pensiero che sottintende un’opera, il modo come un’idea si dipani e come delle tematiche vengano veicolate e inoculate come un “grande fratello” che controlla dei piccoli ed ingenui “fratellini”.

Detto ciò risulta interessante notare che Avengers: Endgame inizi esattamente dove finiva il precedente Avengers: Infinity War. L’ universo è stato mutilato dallo schiocco di Thanos e i Vendicatori rimasti, forti della potente Captain Marvel, decidono di andarsi a riprendere le gemme dell’infinito per annullare la tragedia. Tutta la vicenda che si dipana nelle tre ore di durata del film ha il pregio di non perdersi in gag sbilanciate come accade in molti di questi film, o in momenti di fanservice commerciali. Ci sono invece degli omaggi e dei riferimenti pensati per i fedeli spettatori che hanno vissuto l’evoluzione di questo universo cinematografico. Soprattutto riguardano i personaggi di Captain America e di Ant-man, perché i registi hanno curato precedentemente questo versante, ma anche su Hulk, Iron Man, Nebula e gli altri.

Il punto di forza di Avengers: Endgame è proprio quello di essere un film personale e non “soprannaturale”, che vuole esplorare le conseguenze che la sconfitta ha avuto sui pochi eroi sopravvissuti e il modo in cui hanno deciso di venire a patti coi loro fallimenti. I Vendicatori si ritrovano ad affrontare prima di tutto i loro demoni, mossi sempre dalla voglia di riscatto e di giustizia che ha animato le loro gesta per ventuno film prima di questo. In questo caso le apparizioni demoniache hanno il volto di un passato che non è stato vissuto pienamente e non ha seguito il suo corso naturale (vedi Cap America); oppure consistono nel terrore di perdere una realtà ricca di affetti e soddisfazioni che però non può conciliarsi con la missione di salvatore del mondo (ad esempio Iron Man); o ancora hanno distrutto un’armonia familiare fortunatamente per un tempo “quantico” brevissimo (è accaduto ad Ant-Man); o infine minano la psiche fino a lasciarsi andare per vivere la vita secondo Lebowski (vedi Thor). Per questo Avengers: Endgame ripercorre la cosiddetta “saga dell’infinito”, omaggiando le pellicole precedenti e, contemporaneamente, contestualizzando meglio alcuni momenti cruciali o certi snodi poco chiari, in un turbinio di comparse, citazioni e guest star incredibili (su tutti Robert Downey Jr.,Chris Evans, Chris Hemsworth e Scarlett Johansson).

Naturalmente questo tipo di film, pur prendendosi i suoi tempi e dando spazio ai dialoghi, all’introspezione e alla crescita di personaggi, deve sciorinare delle scene d’azione. Le immancabili battaglie finali, come recita la bibbia delle sceneggiature di genere, sono uno spettacolo di effetti speciali, computer grafica e momenti esaltanti obbligatori. L’assoluta protagonista diventa la Industrial Light and Magic, grazie alle speciali videocamere Alexa 65 che catturano un maggior numero di dettagli ed una risoluzione di 6.5K che ha il pregio di avere una maggiore flessibilità in fase di post-produzione. E’ questo il premio che gli spettatori ricevono per compensare il “lutto” delle morti o del ritiro a vita privata di alcuni eroi.

Di Marco Chieffa

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