Basket Case (1982) di Frank Henenletter

Cult anni Ottanta che unisce trash, gore a riflessioni seriose, se non serie, sulla solitudine umana e sui diversi in questa società.

La trama in breve

Un giovane, Duane Bradley, si reca in un hotel malfamato di New York portando con sé un grosso cesto di vimini chiuso con un lucchetto. Durante la sua permanenza nell’alberghetto iniziano a capitare strani fatti: alcune persone vengono terrorizzate da “qualcosa” e un ladruncolo viene ritrovato ucciso.

Col proseguire del film, si scopre che all’interno del cesto c’è Belial, il mostruoso fratello siamese di Duane.  Anni dopo, una volta eliminato il padre, Duane si reca a New York portando con sé il fratello, allo scopo di eliminare anche i tre dottori responsabili della loro separazione. Belial uccide i tre dottori, ma al tempo stesso inizia a covare risentimento verso il fratello che sempre più spesso lo lascia solo nel suo cesto. Duane si innamora, ricambiato, di Sharon, la segretaria di uno dei dottori uccisi, e ciò scatena la gelosia di Belial.

L’esordiente regista stupisce gli spettatori con una creatura (Belial) mai vista prima e neanche dopo, che si muove grazie ad uno stop-motion primordiale, che lo rende a volte indifeso, impacciato, ridicolo ma anche demoniaco. Involontariamente o forse no  il regista con la scelta di questo nome per il suo“mostro”, si rifà ad una potente figura mitologica demoniaca dell’Antico Testamento e, in genere, di tutta la antica tradizione giudaica: Belial, anche detto il malvagio, a volte usato come sinonimo di Satana, ma in alcuni casi identificato come il serpente che tentò Eva, esattamente come avvenne per la figura mitologica demoniaca di Asmodeo; pare che fosse adorato dai Sidonii, e fu anche il 68° spirito nel testo della Piccola Chiave di Salomone. Nella tradizione mitologica ebraica non è esattamente un nome proprio, bensì un nome comune, il cui significato sarebbe colui che è privo di valori.

Alla base della pellicola, girata in un poverissimo 16mm, c’è la volontà di raccontare la storia di disadattati. Il ragazzo arrivato a New York, nella parte più povera e malfamata, incontra una serie di personaggi uno più disperato dell’altro; lui che vive col fratello-mostro e che vorrebbe solo avere una ragazza e un po’ di libertà. Il fratello-mostro dal canto suo vuole stare con Duane perché è l’unico che gli vuole bene e che lo aiuta. È un film di e sui disadattati in cui è interessante il ruolo della scienza.

I dottori/veterinari che eseguono l’operazione sembrano dei lontani parenti dei medici pazzi dei film di Cronenberg, anche l’aspetto grezzo del film ha qualche vago richiamo alle prime opere del maestro canadese. Tutto il film è pieno di umorismo per niente velato, e si configura come un gioco surreale, in cui il lato onirico si mescola alla realtà grazie a piccole trovate di regia. Il richiamo a Cronenberg persiste anche nello sviluppare l’intera trama attorno alla figura di questa coppia di fratelli siamesi, Cronenberg stesso rifletteva sul rapporto, molto complesso tra gemelli in Inseperabili (1988); ovviamente la visione della “nuova carne” e la riflessione di Cronenberg sul rapporto tra uomo e tecnologia, sono distanti dalla visione abbozzata e molto semplicistica del Basket Case.

La New York che vediamo è notturna e malfamata come in un film di Scorsese o del suo figlioccio Abel Ferrara, ma Henenletter non è un intellettuale e bada più al sodo e quindi agli omicidi, al sangue! Come detto non mancano dosi abbondanti di scene trash e gore, in cui il sangue sgorga come fosse pomodoro e la tensione, però, è quasi inesistente.

Quello che stupisce di più di un semplice, embrionale e piccolo film come questo, è la liberta d’espressione, è la grandezza di una piccola idea, che anche con mezzi inesistenti viene portata avanti e allora l’Horror di serie B rimane, si ancorato al genere, ma diventa anche una piccola parabola sull’umanità persa e dispersa.

Il giovane regista ha scritto, diretto e montato il film ed ha proseguito la sua carriera con due sequel, anche questi dedicati a personaggi disfunzionali, sociopatici e soli. È un cinema che oggi non potrebbe esistere e anche solo per questo va visto e compreso.

All’interno della nostra riflessione sul serial killer, il film configura l’unico di caso in cui il protagonista, il killer, è una figura mostruosa e disumana, seppur pregna di malinconia e drammaticità.

Il film è diventato nel corso del tempo un cult di cui si ricorda la figura di Belial, ridicola eppure spaventosa e alcune scene iconiche, come la corsa del protagonista, nudo per NYC. Vanno anche sottolineate alcune scene al limite del ridicolo, gli effetti speciali quasi nulli, ma come detto è l’idea del film che convince, seppur con una forma sgrammatica e piena di errori; ci sono  momenti di godibilità e la pellicola si rende perfetta per chi vuole vedere novanta minuti di puro horror B-Movies in stile anni ’80.

 

 

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