Fiore gemello (2018) Di Laura Luchetti. I piccoli film salveranno il Cinema italiano?

La trama in breve

Una ragazza (Anna) è in fuga da un uomo, nel suo cammino incontra un ragazzo africano (Basim) che vaga per le strade in cerca di lavoro. Tra i due nasce un’intensa amicizia e si rifugiano in una casa disabitata. Lei trova un lavoro come fioraia e pensa al suo passato, l’uomo che la insegue presto la troverà. I due giovani rimarranno uniti da una forza vitale.

La risposta alla domanda posta nel titolo è sì! Il cinema italiano, come del resto il cinema mondiale, ha attraversato nei suoi oltre cento anni di storia varie crisi; il “nostro” cinema è da decenni che latita in quanto a talenti, ma è una crisi strutturale a creare questa mancanza di talenti e idee nuove.

Fiore Gemello è il secondo film della regista romana che ha recentemente vinto il Corto d’Argento con il suo corto d’animazione intitolato Sugarlove. Dieci anni fa aveva esordito con un film particolare che aveva stupito parte della critica Febbre da fieno. Come dice lei stessa: “la produzione di Fiore Gemello è stata complessa e molto lunga, ma speriamo che la nostra passione arrivi fotogramma per fotogramma al pubblico”.  La sua seconda opera è una favola nera che riflette molto bene sui nostri tempi, lo fa con tempi cinematografici e con una tecnica che i “grandi” film italiani spesso non hanno.

Siamo in Sardegna, lo capiamo dalla lingua e dalla bellezza del paesaggio; la natura che è tanto importante quanto fatale. Una terra quella del film, di questa favola oscura, fatta di orchi: l’uomo che insegue la ragazza per “lavoro”, sfrutta i migranti sbarcati, i ragazzi che infastidiscono la ragazza prima dell’arrivo di Basim, l’uomo che sfrutta sessualmente Basim, il giro di prostituzione. Grazie ad una fotografia avvolgente non usciamo mai dalla visione favolistica, eppure reale, di un film che per novanta minuti ci immerge in un piccolo incubo, purtroppo terribilmente realistico.

Dicevamo della natura, che è elemento fondante del film: il cielo, la luna, il mare, la vegetazione, ma anche la natura umana; i personaggi sembrano essere stati scritti in un modo per cui nessuno possa sfuggire alla propria natura, sono segnati da un destino al quanto tetro e implacabile. L’unione tra i due ragazzi, il fiore gemello del titolo, è l’unico bivio per un futuro che sembra segnato.

La regia e il ritmo seguono i due protagonisti nelle loro evoluzioni, il linguaggio dei corpi, gli sguardi; è soprattutto con gli sguardi ripresi in primo piano che capiamo molto del passato di entrambi. Entrambi hanno sofferto molto e si ritrovano soli in una terra arida, rurale, a dover sopravvivere. Primi piani, ritmo lento ma cadenzato, regia e fotografia segnano le scene e la cura dei dettagli di ogni immagine è un qualcosa che andrebbe insegnato ai giovani autori, pur con un budget limitato il film riesce a coniugare idea e forma, e allora non ci troviamo di fronte ad un film a tema sociale, ma ad una piccola-grande opera che attraverso immagini forti e belle riesce a descrivere il destino amaro di tante persone. Lo sguardo femminile si nota soprattutto nei momenti più dolci della relazione dei due ragazzi, ma non è meno fermo quando si giunge al finale drammatico.

I due giovani affrontano a modo loro questo che è un piccolo romanzo di formazione, perdendo così l’innocenza e ritrovandosi da soli contro l’orco o per meglio dire contro gli orchi. Il film ha compiutamente delle dinamiche di genere, è un noir per ritmo, colori, per la descrizione di una periferia lasciata a sé stessa, violenta e faticosa da vivere, in cui regna il più forte. Il tempo diegetico viene spesso rallentato, ci sono momenti di sospensione degni del miglior cinema di genere americano e tutto è teso a raccontare un percorso, un viaggio fisico e umano che porterà i due ad uno scontro inevitabile e fatale.

I due protagonisti, alla prima esperienza su un set, sono bravissimi e Aniello Arena nel ruolo del cattivo è feroce, crudele eppure disperato come pochi cattivi visti recentemente.

Dietro a questa favola nerissima, eppure dolce come solo le favole riescono ad essere, c’è il problema ormai epocale del fenomeno migratorio e il film non riesce e non può analizzarlo in modo globale, ma riesce a fare un interessante approfondimento attraverso le figure di questi due giovani ragazzi molto simili, emigrati, soli, un po’ disperati eppure forti, con l’obbligo di essere forti perché non hanno altra scelta.

Un piccolo-grande film che stupisce: amaro, duro, senza troppe concessioni allo spettatore, ma pieno di momenti catartici e di una natura selvaggia eppure bellissima.

Di Matteo Bonanni

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