il cameraman e l’assassino- C’est arrivé près de chez vous (1992) di Rémy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde

Siamo nel 1992, sta per uscire Reservoir Dogs e sta per scoppiare la “Tatarantinite”. Come si può notare dal nostro approfondimento, negli anni ’90 il cinema di genere ha preso principalmente due direzioni: quella parodica/tragicomica e quella Pulp, e allora Il cameraman e l’assassino è una via di mezzo tra questi due toni, ma anche un film in stile Cannibal Holocaust o se preferite Mondo Cane.

La trama in breve

Una troupe di giovanissimi riprende le vicende e la vita di un killer di professione (Benoit) che uccide anziani e gente comune per prendergli i soldi.  Lui insegna loro i trucchi del mestiere, il tutto è mostrato come si trattasse di un lavoro comune. Man mano che passa il tempo, anche la troupe esce dal ruolo passivo per farsi più attiva e seguire l’amoralità del protagonista.

Questo film belga, che con il tempo è diventato un vero e proprio cult è, come detto, un’unione tra parodia e noir, ma è anche un mockumentary, in anticipo sui tanti film, soprattutto nordici che dello stile mockumentary, un po’ trasandato e per niente imbellettato, faranno il loro marchio di fabbrica (Dogma 95). Lo stesso Behind The Mask, recentemente analizzato, ne è un lontano parente.

L’origine e l’ispirazione del film sono figlie della visione reiterata di un programma belga anni ‘80 di grande presa sul pubblico: Strip-Tease; il film è anche ispirato dai tanti documentari televisivi che trattano delle vicende più assurde. Poelvoorde che è regista e protagonista ci trascina in un delirio di immagini: corpi mozzati, pistole, sesso e un umorismo sadico in cui tutto è sopra le righe. Il film gioca molto con i ritmi e con la morale e la moralità, mettendo alla berlina con una discreta originalità la devastante e inconfutabile miseria della televisione.

Nel decidere di attaccare la televisione ma anche un certo cinema, il film soprattutto nel finale, riesce a riportare all’interno del discorso cinematografico un senso di morale e una grandezza che il Cinema stesso dovrebbe sempre avere, a differenza della televisione.

Il protagonista è cattivo, violentissimo, volgare ma si crede bello, colto e raffinato; è razzista, omofobo, è un uomo medio come i tanti di ieri e di oggi, che però è andato oltre ogni confine e regola e non sappiamo perché lo faccia. Quello che sappiamo invece è cosa spinge la troupe a partecipare ad uno stupro di grande forza visiva e che è un pugno nello stomaco per lo spettatore, anche lui trascinato volente o nolente nel putridume del protagonista; la troupe inseguendo il successo, la storia forte e i possibili futuri soldi con annessa gloria, ha tralasciato definitivamente qualsiasi senso di morale e allora un omicidio di un’anziana, di un postino, o uno stupro in più che differenza fanno?

È un gioco pericoloso e mostruoso, entra così in ballo l’emulazione e lo spirito del branco, ma il film, che a tratti è irritante, repellente e anche un po’ fine a se stesso, non si esaurisce qui; nel cortocircuito finale ci ritroviamo anche due killer con al seguito due troupe diverse e la morte non può che essere l’unica via di uscita da un incubo che non sembra avere una fine, come del resto, non ha un inizio.

Il film riesce ad essere disturbante e provocatorio, è suggestivo nella descrizione del contesto sociale. Il protagonista, pur nella sua completa follia, capisce bene come vanno le cose nella nostra società, per questo decide di non toccare gli agiati e i ricchi che farebbero notizia portandogli la polizia addosso in un attimo; i poveri e gli emarginati nel film, come nella realtà, muoiono e non fanno notizia, Benoit infatti colpisce loro. La pellicola, girata in un bianco e nero di grande effetto, è piena di scene movimentate: corse a piedi e in macchina; due sono le scene che rimangono realmente impresse nell’immaginario dello spettatore e sono quella già citata dello stupro che riesce a filmare un qualcosa di infilmabile (almeno nel 1992) e la scena finale.

Lo sguardo del protagonista si incontra e si scontra con quello della macchina da presa, in un duello a chi vuole dire o sapere di più, in un vortice di immoralità che risucchia tutti al suo interno, spettatore compreso.

I registi parlano del ruolo del cinema, delle aspirazioni di molti che superano la realtà e che tralasciano regole e morale in nome del successo, ma allo stesso tempo con la loro satira, a volte grassa e volgare, ci mostrano una realtà spaventosa, violenta, triviale e faticosa.

Molti critici hanno etichettato il film come un emule europeo di Henry,pioggia di sangue, ovvero un film con un protagonista che uccide senza una ragione e per il gusto di farlo, senza che il film approfondisca il perché; il film è pieno di difetti, di auto-compiacimento, è irritante a volte, ma ha una forza visiva e di idee da non tralasciare e Poelvoorde è magnetico!

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