Il cinema cileno tra Momios e Upelientos

Parlare di un paese come il Cile e del suo cinema significa entrare nel vivo delle sue pulsioni, nel cuore della gente cilena e delle proprie abitudini quotidiane e secolari.

Non basta snocciolare delle cifre, di per sé aride se non coniugate in un discorso più ampio.

Una popolazione di più di 17 milioni di abitanti vive un continuo incremento di pubblico nelle sale cinematografiche a partire dal 2000: più di 15 milioni di spettatori nel 2012, con circa una sala ogni 57.000 abitanti. Tra tutto lo spettacolo culturale, i cileni scelgono il cinema nell’80 % dei casi e la preferenza per i film nazionali cala sempre di più.

Potrei aggiungere storicamente l’azione benefica delle università; quella cattolica con il dipartimento cinematografico creato nel lontano 1958 o l’Università di Stato con la sezione Cine experimental del 1958 e la cineteca universitaria.

Completerei il quadro con la linfa vitale distillata dalle lotte politiche, citando il Cineclub di Viña del Mar, i festival, le rassegne e la nuova legge sul cinema del 1967.

Tutto questo non basta, non mi soddisfa. Manca qualcosa, sarebbe un’operazione che tralascia lo scontro immanente in ogni discorso, le fazioni apparentemente dimenticate ma mai completamente superate. Sarebbe come parlare dell’Italia senza citare i guelfi e i ghibellini, Bartali e Coppi, la DC e il PCI. Sono quei “campanili”, sicuramente creati artificialmente per oscurare il resto e l’alternativa, ma che sono sempre sulla bocca di ogni discorso quotidiano.

Per il Cile parlo dell’antagonismo tra momios e upelientos.

Per la serie: “le parole sono importanti!”. Per rinverdire l’invettiva di Carmelo Bene che diede dell’anacoluto al grande Vittorio Gassman, come se le figure retoriche fossero una prerogativa passatista (per esempio io ho l’ambizione di essere un’anafora o meglio una metonimia!).

Momio è un neologismo cileno che vuol dire “mummia” ed ha una connotazione peggiorativa ed ironica da parte del popolo verso i conservatori. Momio va però oltre il valore letterale della parola, assumendo un largo margine di significati. Non vuol dire meramente borghese (comunque appartenente ad una classe superiore al povero) ma anche “senza vita, noioso, immobile, senza allegria e senza fantasia, prevedibile, inanimato,

polveroso, grigio e le molte altre cose funebri e fredde che una simile metafora può suggerire” (Vedi Goffredo Parise, Guerre politiche).

I Momios a loro volta si distinguono dai rotos, termine che significa rozzo, ordinario, plebeo. Anzi i momios sono dei rotos che però possiedono poco, ma quel poco basta ad acquistare quelle caratteristiche “mummificanti”; una licenza di taxi, una piccola bottega, un camion sono sufficienti a far perdere l’anima del popolo ed acquistare la paura dei momios.

A riprova che questi termini riguardano la sostanza della società cilena, bisogna dire che momio, dopo la caduta del governo socialista di Allende divenne sinonimo di virilità e forza contro il governo di Salvador Allende” . Durante la dittatura militare di Augusto Pinochet fu sostituito appunto da “facho”.

Upeliento è il termine dispregiativo, opposto a momio, per riferirsi ai sostenitori dell’Unidad Popular, alla cosiddetta sinistra vicina ad Allende. E’ un termine composto da due parole: la UP di Unidad Popular + l’espressione dispregiativa popolare che significa “puzzolente”.

Questa eterna lotta tra momios e upelientos continua anche oggi, nonostante una nuova costituzione e tutti gli altri progressi del Cile. Sicuramente è una dicotomia che rientra nel cinema cileno, permeando di sé ogni giudizio o interpretazione. Spetta a noi individuarlo nei singoli film legati al Cile