Il Signor Diavolo (2019) di Pupi Avati

Dopo dieci anni, tra alti e bassi, film-tv e film al cinema, Pupi torna al suo primo cinema, al genere e soprattutto all’Horror, che in parte ha segnato.

La trama in breve

Roma, 1952, il giovane funzionario ministeriale Furio Momenté viene convocato dal suo superiore per una questione delicatissima. In Veneto, un minore ha ucciso un coetaneo convinto di uccidere il diavolo. Per motivi elettorali la questione va trattata in modo da evitare scandali. La madre della vittima è molto potente e, da sostenitrice della causa della maggioranza politica, ha cambiato opinione assumendo una posizione assai critica nei confronti della Chiesa e di chi politicamente la supporta. Il compito di Momenté è quindi quello di evitare un coinvolgimento di esponenti del clero nel procedimento penale in corso. Durante il lungo viaggio in treno, Momenté legge i verbali degli interrogatori condotti dal giudice istruttore, a partire da quello del piccolo assassino, Carlo. La realtà che comincia a dispiegarglisi davanti è complessa e sinistra, ma le cose, una volta che si troverà sul posto, si dimostreranno ben peggiori.

Il richiamo a tutto il suo cinema di genere, ma soprattutto a La casa dalle finestre che ridono, è lampante; ma non fermiamoci ai richiami, ai momenti nostalgici. Avati porta avanti ancora oggi un cinema importante, tra e dentro i generi, impregnando qualsiasi cosa del suo umore, della sua vita e visione del mondo e allora la terra padana tra Emilia e Vento, i ragazzi alla ricerca dei primi amori, i contadini ecc.

È singolare ma allo stesso importantissimo per il nostro cinema che, nell’arco di una settimana, siano usciti due film Horror, prima The Nest di un giovane e poi questo, di un maestro, di un vecchio del nostro cinema; è un fatto importante, che potrebbe far tornare le produzioni ad investire sul genere, di cui eravamo assoluti maestri con Bava, Argento, Fulci, Deodato ecc.… I due risultati sono molto diversi, ma non è questo il punto importante, gli spettatori italiani cercano e vogliono prodotti di genere ben fatti, nel mondo il genere, si pensi ai film Marvel, sono primi da anni e allora “l’Industria” cinematografica italiana dovrebbe tornare a investire nel genere che ha così tanto contaminato.

Ma torniamo a Pupi, il suo film è un ritorno alle origini e lo fa con una squadra di attori molto valida, con una produzione scarna ma allo stesso tempo solida, ma soprattutto con idee molto chiare. Ci immerge con bravura nel periodo storico in cui è ambientato il film e quindi la DC, la cultura contadina e soprattutto la Chiesa, ci parla dell’Italia dell’epoca, che poi non è così distante da quella di oggi, semmai sono cambiati i bersagli di una certa retorica.

Al netto di una fotografia che a volte pecca, soprattutto in fase di color correction, la ricostruzione dell’epoca è precisa e viene direttamente dalla mente del giovane Avati, che ha scritto il libro da cui è tratto il film, la storia è credibile, suggestiva e soprattutto matura; ecco uno dei punti: è un film di Avati, che oggi ha ottant’anni, ma che era maturo già a trenta, è un Horror maturo e che punta sulle atmosfere, sulle suggestioni di un ambiente inquietante ed arretrato.

Il regista ovviamente non punta ad un horror muscolare, fatto di salti dalla sedia, si immerge ancora una volta in un contesto in cui ragiona sul ruolo della Chiesa, ieri come oggi, nonostante le rivoluzioni avvenute; ci mostra nelle regioni che ha conosciuto da ragazzo e porta sullo schermo alcuni personaggi di grande forza, si pensi alla “suora” cugina, al bambino accusato, alla madre vestita di nero. La regia è precisa, concreta, mai fasulla, fastidiosa o supponente, ci porta lentamente fino al finale che, volente o nolente, seppur leggermente sbrigativo, è di sicuro impatto.

Il genere Horror è il genere che in questo ultimo decennio è riuscito a riaprire discorsi sociali, a mostrare aspetti della società che altri generi non toccano e vedere Pupi Avati tornare a fare un Horror è un qualcosa di importante, io la leggerei come una spinta che il vecchio maestro da a tutti i giovani che vogliono fare genere; certo La casa dalle finestre che ridono, è lontana, per la sua incredibile fotografia, per l’inquietudine profonda che ti lascia dopo la visione, per la paura che ti mette addosso, ma Pupi in questo caso, come detto, puntava a fare un film leggermente diverso, anche per la piccola produzione e allora la sua riflessione sull’Italia dell’epoca, attraverso questa serie di sconfitti e sfigati, è assolutamente riuscita.

Un bel film, un importante Horror italiano che potrebbe riaprire una nuova serie di film, che parlino dell’Italia attraverso i temi che ci sono cari, rileggendo magari la poetica dei maestri che furono, un film che ha i suoi momenti di suspance, condotto bene e interpretato da un cast eccellente, in cui si segnala Lo Giudice, che è totalmente un protagonista dalle fattezze avatiane.

 

Di Matteo Bonanni

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