La guerra americana tra gli Skrull e i Kree Captain Marvel (2019) di Boden – Fleck

Vorrei per un momento tralasciare ogni discorso sul film Captain Marvel (2019) in relazione alla sua natura di prequel, sequel, crossover ed ogni altra dannata posizione in merito al mondo Marvel. E nemmeno vorrei considerare la rivendicazione delle donne e la questione razziale al centro di una vicenda, dove la protagonista è un supereroe femminile, diretta da una donna, Anna Boden, assieme al collaboratore Ryan Fleck.

Di Captain Marvel a me interessa lo scontro “politico” tra gli Skrull e i Kree, e soprattutto come viene proiettato nello schermo della pubblica opinione.

I Kree, si badi bene, sono una razza aliena talmente progredita scientificamente e tecnologicamente da scegliere alcuni individui e dotarli di incredibili poteri, al punto da renderli servitori e debitori rispetto a comandanti-mentori e a Supreme Intelligenze.

Gli Skrull, di aspetto simile ai terrestri ma con pelle verde, orecchie a punta, striature sul mento e forza doppia, hanno invece la capacità di poter assumere le sembianze di chiunque e qualunque cosa, oltre alla qualità di guarire più rapidamente ed essere resistenti al controllo telepatico e alle arti magiche.

La protagonista (una splendida Brie Larson), all’inizio con il nome di Vers, senza ricordare nulla del proprio passato, si trova in mezzo a questa guerra dalla parte dei “buoni” Skrell, inserita in una potente squadra di nobili guerrieri, capitanata dal comandante Yon-Rogg. E viene rapita dai “cattivi” alieni mutaforma Skrull, nel loro disperato tentativo di localizzare un motore a velocità della luce nascosto su un pianeta.

Vers, oltre a cominciare ad intravedere il suo nebuloso passato (in realtà il suo nome è Carol Danvers, ex pilota di caccia della U. S. Air Force), precipita durante la battaglia nel pianeta C-53, dove è presente il motore (il Tesseract, un Cubo Cosmico di immensa energia in grado di trasformare in realtà ogni desiderio di chi lo detiene). Naturalmente il pianeta in questione non poteva che essere la nostra amata Terra, in particolare nel 1995, piena di Blockbuster, musica dei No Doubt e giacche di pelle alla Fonzie.

L’eroina, è questo che mi interessa, capisce che i “cattivi” Skrull in realtà hanno intenzioni benevoli. Essi sono da molto tempo oppressi dai Kree ed il loro unico scopo è quello di cercare una nuova casa, dopo che il loro pianeta è stato distrutto dai Kree invasori.

Da questo momento in poi Vers – Carol Danvers diventa Captain Marvel e si ribella definitivamente contro ogni Suprema Intelligenza. Non accetta più di essere perennemente debitrice dei propri poteri da un comandante-padrone. Sfrutta la sua formazione militare non più per una guerra “ingiusta” ma per la pace, per i più deboli, per i rifugiati e i migranti. Inoltre libera i suoi super-poteri e riscopre la sua forza, ampliandola all’ennesima potenza al punto da fermare il piano di distruzione della Terra attuato dalla corte marziale dell’esercito Kree nella persona di Ronan l’accusatore. Come si vede, ce ne è di carne al fuoco e di pretesti per scatenare ideologie e le convinzioni.

A cominciare dalla lettura fatta da parte di molti novelli esperti di cinema e politica estera (due materie, sembra, molto frequentate e saccheggiate per parlare di argomenti faziosi) che vedono nella guerra mega-galattica stile star wars di Captain Marvel una metafora dell’ossessione per i confini impenetrabili che molte nazioni manifestano.

Oppure diventa argomento “super” dibattuto la propensione dei Kree a infondere l’odio verso gli Skrull nelle proprie reclute, compresa Vers, come l’applicazione deliberata di quella creazione a tavolino del nemico, a loro modo tipica nel mondo contemporaneo.

Soprattutto le sofferenze degli Skrull, la loro sorte di rifugiati politici e la persecuzione da parte dei Kree in tutta la vastità delle galassie è un ghiotto pretesto per evocare i mari solcati da una qualsiasi nave Diciotto, o peggio i muri lungo i confini tra Messico e Stati Uniti.

Quando poi l’inarrestabile Captain Marvel esalta la propria natura terrestre contro le costrizioni imposte dall’addestramento Kree, si levano in alto le grida contro l’individualismo “amerikano” che cercherebbe di soffocare l’eroina che ha invece il merito di mettere davanti il bene collettivo a quello individuale. Captain Marvel diventa così una riedizione, aggiornata al 2019 e adattata all’universo dei supereroi, di quell’invasione degli “ultracorpi” vista nel cinema degli anni ’50.

Queste analisi di Captain Marvel sono la percezione europea di un film Marvel e la volontà di modellarlo secondo le proprie esigenze, considerandolo quindi come un mezzo e non secondo le sue intrinseche qualità. Ricordo negli anni ’70 la lettura di un fumetto in cui Capitan America riesce a neutralizzare Teschio Rosso con l’astuzia, fargli cadere dalle mani il Cubo Cosmico e disperderlo in fondo all’oceano. Il Teschio Rosso era il prodotto di un’associazione criminale che lavorava sotto la copertura di un laboratorio di ricerca e anche allora si era ribellato ai suoi benefattori che lo avevano rianimato direttamente dalla seconda guerra mondiale nelle vesti di criminale nazista. Il mondo Marvel è zeppo di questi ribaltamenti e coup de théâtre. Stan Lee sorriderebbe a queste interpretazioni e congetture, con lo stesso sorriso che regala a Captain Marvel nella scena del treno, ultima sua apparizione in un film.

Di Marco Chieffa

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