La tenerezza del lupo (Die Zärtlichkeit der Wölfe) di Ulli Lommel

La tenerezza del lupo (Die Zärtlichkeit der Wölfe) è un raro esempio di melodramma che tratti di un serial killer. Il film a tutti gli effetti si può considerare appartenente al marchio Fassbinder. Innanzitutto perché è proprio il cineasta tedesco a produrlo, curandone anche il montaggio e interpretando una parte, come al solito di un violento pappone ben vestito. La pellicola del 1973 fu inoltre girata con gli “avanzi” economici del monumentale Effi Briest, film chiave per la sua filmografia. Lo stesso Fassbinder scelse Ulli Lommel, un “suo” attore, proveniente dal gruppo teatrale Antiteateer, come regista ed un altro attore fassbinderiano, Kurt Raab come protagonista. Anzi il dispotico Fassbinder riscrisse la sceneggiatura, precedentemente abbozzata da Raab, e, non potendolo girare per altri impegni, scelse come regista, per fare uno sgarbo al suo ex amante Raab, l’inesperto Lommel, che Fassbinder considerava un grande attore e che dovette girare a Düsseldorf in soli 23 giorni. Naturalmente Fassbinder assoldò come sempre il suo entourage familiare, ovvero l’ex moglie Ingrid Caven, la “masochista” Margit Cartensen (qui invece nelle vesti di vicina antipatica), la “signora” Brigitte Mira, il “marocchino” El Hedi ben Salem e una giovanissima Rosel Zech (futura protagonista di Veronika Voss).

L’operazione messa in piede da Fassbinder si innesta sulla vicenda di Fritz Haarman, detto “Il licantropo di Hannover”, la stessa figura che ispirò Fritz Lang per il film M (non a caso Die Zärtlichkeit der Wölfe inizia con un ombra espressionista che si proietta sulla strada, ispirata a Fritz Lang). Questo personaggio violentò e uccise un gran numero di ragazzi tra i 13 e i 20 anni, vendendo i loro averi e la loro carne al mercato nero. Lommel spostò il suo periodo di azione dagli anni Venti al 1945 per ragioni di scenografia e per meglio raffigurare un popolo tedesco alla ricerca di un’identità, con la voglia di superare la vergogna del nazismo, nascondendo nuovi mostri e la necessità di cannibalizzare pur di sopravvivere.

Con queste premesse nasce un horror atipico, in cui l’impianto tradizionale fatto di suoni (i passi dell’assassino), chiaroscuri (le ombre sulle vittime) e luoghi (stazioni, boschi e fiumi) rimane, compreso il lugubre Kurt Raab somigliante al Nosferatu-Kinski di herzoghiana memoria; ma il regista va oltre, esplicitando l’inespresso di Fritz Lang con i corpi maschili mostrati senza pudore e abbandonati alla morte. I giovani tedeschi, su cui la Germania poteva riporre il futuro, vengono uccisi e le donne sono complici, coprendo la colpevolezza degli uomini. La blasfemia compie il suo giro completo e macabramente festoso in una sorta di ultima cena, dove una famiglia si ciba delle carni dei giovani uccisi. Il livello simbolico raggiunge dunque vette alte, inconcepibili per le commedie italiane tipo Gran bollito di Bolognini, simile solo a Pasolini o Ferreri. Il tutto in un impianto come detto melodrammatico, che distorce e rende straniato il genere horror a cui tende per tematica.

Per tutti questi motivi La tenerezza del lupo è stato spesso considerato un film tabù. Se gli elementi estremi degli omicidi non sono mostrati ed rimangono impliciti, per contro tutto è incentrato sulla sessualità del serial killer e sulle esplicite nudità delle giovani prede. Solo per questo specifico elemento si potrebbe avvicinare alle pellicole coeve come Wampyr (Martin) di Romero, dove le vittime femminili uccise qui molto sanguinosamente mostrano la loro nudità, oppure The blood on Satan’s Claw di Hagard e To the Devil a Daughter di Sykes, film con inquadrature e nudi frontali di donne. Le nudità maschili e i temi omosessuali in un ambito horror hanno generalmente una distanza reciprocamente esclusiva che in questo film invece si incontrano. La sua carica maledetta si amplia se si pensa che l’attore principale, Kurt Raab, visse solo tre anni più del vero Haarman a cui ha dato il volto, e per giunta morendo di una malattia legata all’Aids.

Dominante rimane il melò tipico di Fassbinder che avvolge la vicenda di Haarman. Nel film di Lommel egli è un piccolo ricettatore, in passato ricoverato in manicomio, che si arricchisce tramite il mercato nero ma viene scoperto dalla polizia; in cambio della libertà, gli viene offerto di sfruttare le sue conoscenze della malavita locale come spia della polizia; così per copertura lavora come controllore in una stazione. Proprio questa posizione permette al criminale di adescare le giovani vittime, offrendo un aiuto per migliorare la loro condizione e contemporaneamente minacciando di consegnarli alla polizia in caso di rifiuto. Nel suo appartamento li uccide con un morso vampiresco alla giugulare e poi ne vende la carne all’inconsapevole signora Engel (Brigitte Mira), che gestisce una locanda ove il serial killer è accettato nonostante la propria omosessualità. Haarman vive anche una frustrante relazione con il compagno e socio d’affari Hans, che lo bistratta, lo tradisce con donne ed è quindi il suo carnefice dal punto di vista sentimentale. Ed è avversato dalla vicina Frau Lindner (Margit Cartensen), che ha il merito di mettere sulla buona strada le indagini della polizia e a dissuadere invano a continuare a salire le scale un ragazzino che sbaglia porta.

Dopo questo film, Ulli Lommel andrà a New York alla factory di Andy Warhol e, prima di morire nel 2017, diresse una lunga serie di direct-to-video (film non distribuiti al cinema ma commercializzati per supporti home video) basati proprio sulla vita di serial killer.

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