Lightship (1985) di Jerzy Skolimowski- Una nave faro (gli USA) per il mondo intero, ma sempre a rischio di conflitto.

Una Lightship-nave faro è una nave che nelle acque più profonde, dove non si può costruire un faro, fa luce e permette alle altre navi di navigare senza andare contro gli scogli.

La trama in breve

USA 1955, un Capitano di Marina con una brutta storia di guerra alle spalle s’imbarca con il figlio diciasettenne su una nave faro al largo delle coste dello Stato della Virginia. Tra il Capitano e l’equipaggio non c’è un gran rapporto, anche per i suoi trascorsi, la loro calma apparente viene sconvolta dall’arrivo di tre rapinatori che vogliono fuggire con la nave dopo una rapina.

Nel nostro percorso, che circumnaviga l’America mostrandola da fuori ma anche da dentro i suoi confini, siamo arrivati ad uno dei tanti casi di cineasta europeo che ha girato un film con produzione americana. Jerzy Skolimowski è da sempre un nomade, si ritrova per la prima ed unica volta a girare un film in suolo americano, in un decennio, quello degli anni Ottanta, in cui il suo cinema girovago aveva abbracciato produzioni inglesi, francesi e italiane; si accosta ad una produzione americana, come aveva fatto con quelle polacche e inglesi, imprimendo alla pellicola la sua idea apolide e libera.

Il regista polacco riesce, attraverso regia e fotografia, a restituirci una situazione e un’atmosfera di grande tensione morale in cui, ancora una volta nel suo cinema, siamo posti di fronte ad un microcosmo (si pensi a La ragazza del bagno pubblico, a Moonlighthing) alle prese con uno scontro interno-esterno.

L’atmosfera è tetra e nerissima, soprattutto quando le onde imperversano e i tre fuori legge impongono le loro armi ai marinai. Ancora una volta il regista polacco ci parla di libertà, di una libertà personale ma anche e soprattutto sociale, che l’equipaggio della nave non possiede, come non la possiede la povera nave ancorata, che non può spiegare le vele e sprigionare i potenti motori; una nave-faro che si erge a protagonista del film, una nave che deve guidare le altre navi, proprio come facevano (e fanno) gli USA tra il 1955 e il 1985.

Skolimowski portandoci dentro questa nave e attraverso le figure dei protagonisti del film (tra cui spicca un Robert Duvall gigione e atipico, appena fresco di Premio Oscar), almeno in parte, ci parla di una Nazione ferma ai suoi concetti, alle sue ingiustizie, in preda alla violenza (i tre uomini) e in procinto di fare nuovi sfaceli mondali: la guerra in Korea, poi il Vietnam ecc. Una Nazione in cui la libertà è culto massimo, ma in realtà risulta oppressiva con i suoi cittadini, forse anche di più di altre.

Ma torniamo a noi, torniamo al film e alla sua diegesi: l’intreccio è semplice e comprensibile, ma la regia è mirata, precisa, quasi perfetta. Ci rinchiude su questa nave, tra le onde e la tempesta, che poi è la tempesta che fisicamente attraversa gli umori e le anime dell’equipaggio, fino al tragico finale. Al regista non interessa realizzare un thriller, anche se le scene d’azione sono più che riuscite, il suo interesse vira sul microcosmo di uomini, tutti a modo loro disperati e disperanti, se non addirittura vaneggianti, come il personaggio di Duvall. L’unico che esce dal coro, raccontandoci la storia con voce fuori campo, è il giovane figlio del Capitano che vorrebbe la libertà almeno quanto i tre rapinatori, quanto la nave stessa e, in una traslazione un po’ azzardata, la vorrebbe o la auspica il testo anche per gli Stati Uniti.

Nello scontro di parole, espressioni e infine di mani tra il Capitano Miller (Brandauer) e Calvin Caspary (Duvall) ritroviamo la tensione morale del film stesso. I due uomini dal passato difficile e pieno di violenza si scontrano per ottenere il potere sulla nave; per il Capitano quell’incarico e quella nave sono l’ultima possibilità per riscattarsi dal passato che lo tormenta, in quella nave vuole che il figlio diventi uomo, mentre per il ladro la nave è la possibilità di libertà, è la via per l’ennesima fuga dalla polizia e dal sistema; sistema che il cinquantenne Caspary dice di aver piegato fin da subito alle sue volontà, alle sue smanie, alla sua subdola violenza.

Skolimowski non tornerà più negli Stati uniti per dirigere pellicole, anche perché il Sistema produttivo, ma non solo quello, degli States non gli permetteva di esprimere tutta la sua libertà visiva e intellettuale. Nel dirigere Lightship, che fu un fiasco al botteghino (ovviamente!), il regista polacco procedeva nella sua missione apolide di mostrare il mondo attraverso gli uomini, attraverso microcosmi che in realtà rappresentano o tentano di rappresentare il mondo intero, qui con una metafora sugli USA, prima nel 1981 in Moonlighthing, sulla Polonia stessa, da cui il regista è fuggito.

Il film non è esente da imperfezioni e come detto non apporta nulla alla storia del cinema, di cui il nostro regista è un esponente importante, ma rimane comunque un esempio di buon cinema europeo-americano; si segnala per l’ottima regia, le atmosfere intimiste, cupe e per un Robert Duvall istrionico come non l’avete mai visto.

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