L’uomo dalla cravatta di cuoio (Coogan’s Bluff) (1968) di Don Siegel

Nel mio personale progetto di r-(i/e) -visione dell’opera registica, attoriale e produttiva di Clint Eastwood, mi sono imbattuto per la seconda volta in questo poliziesco di fine anni ’60.

“L’uomo dalla cravatta di cuoio” appartiene all’ultima fase della carriera del maestro dei generi Don Siegel, già regista all’epoca di molti cult assoluti, ed è soprattutto la prima delle cinque collaborazioni con Eastwood.

 

La trama in breve:

ll vicesceriffo Coogan viene mandato da una cittadina dell’Arizona a New York, per prelevare Jameson Ringerman, un criminale là detenuto. Coogan è un tipo duro e insofferente della burocrazia. Preleva Ringerman all’infermeria senza permesso e, quando il gangster riesce a fuggire, si mette da solo alla sua ricerca.

Il film di per sé è un mix tra poliziesco e western, come ben evidenzia la sequenza iniziale con tanto di cattura di un indiano accusato di uxoricidio. La pellicola ha una trama semplice, alquanto prevedibile, con momenti rozzi, ed è anche in parte invecchiata male; ma nell’itinerario della sterminata e folgorante filmografia del maestro nato a San Francisco svolge vari e decisivi ruoli.

Come detto, si tratta della prima collaborazione, la meno riuscita, con Siegel, da cui nasceranno due capolavori, come “La Notte brava del soldato Jonathan” e “Fuga da Alcatraz”. Siamo nel 1968, ed Eastwood è un attore ormai molto noto anche negli States grazie alla trilogia del dollaro di Sergio Leone. Ha formato la sua casa di produzione da poco, la Malpaso, ed ha iniziato a produrre film tra cui questo di Siegel.

In quell’anno ha recitato per Ted Post (anche se l’intera produzione del film è a suo nome) nell’interessante “Impiccalo più in alto” nel ruolo del mandriano ingiustamente accusato; l’anno precedente invece era stato un marito annoiato e poco attivo sessualmente nell’episodio diretto da Vittorio De Sica, che confluisce nel film corale “Le Streghe”. Ora, nel personaggio di Coogan, Eastwood è un ranger che cattura indiani, ha metodi violenti, è un misantropo e misogino, e viene portato in città per recuperare un assassino, anche lui originario dell’Arizona.

Calato in una realtà cittadina, nei metodi e nelle attitudini di questo personaggio, nasce l’altra faccia di Clint Eastwood, che  ripeterà più e più volte in vari film, ovvero quella del poliziotto burbero che non accetta il sistema e la burocrazia; è in sostanza un “Dirty Harry“ ante litteram di tre anni rispetto al primo film della pentalogia sul poliziotto violento più famoso del cinema.

Eastwood sarà ancora per anni un pistolero nel west e un rude poliziotto nella metropoli americana contemporanea, e come autore sarà senz’altro più prolifico e migliore nella prima veste.  Questo film però è importante per la sua capacità di sintetizzare in un’unica pellicola il passaggio tra west-(ern) e poliziesco metropolitano, tra l’uomo con il sigaro in bocca e Coogan/Dirty Harry.

“L’uomo dalla cravatta di cuoio” in sé non è certo memorabile, resta un film rozzo, pieno di momenti anche poco interessanti; come, ad esempio, quando il ranger entra in una discoteca e in quel momento si evidenzia  tutto il suo rapporto con la modernità, ovvero una tematica ed un filone molto in voga in quel frangente del cinema americano. Stiamo parlando della fine degli anni ’60, che coincide con la fine della Hollywood classica e l’inizio di un’epoca capitanata dai giovani (e non solo) della New Hollywood.

Eastwood nel 1968 diventa oramai quasi del tutto padrone della sua carriera. Difatti solo tre anni più tardi, sempre con l’aiuto del fidato Siegel, dirigerà il suo primo film “Brivido nella notte” e da quel momento si lancerà in un cammino che lo porterà a dirigere più di quaranta pellicole, tra cui una in uscita nei prossimi mesi: “Cry Macho”.

La regia di Siegel  nel suo valore intrinseco rimane comunque valida. Come sempre, Clint è un po’ macchinoso in assoluto, e affinerà la faccia da burbero e la sua recitazione nel primo “Dirty Harry”; le sequenze d’azione, soprattutto nel finale, non sono da disdegnare e quella iniziale è un vero gioiello. E’ esattamente lì che nasce Il poliziotto dai metodi burberi, quello che non concede la sigaretta all’indiano legato al palo, ma che poi nel finale, dopo tanta brutalità e sporcizia cittadina, la concederà all’assassino, che potrà finalmente essere riportato a casa in manette.

Un film dunque da vedere, se non altro per rintracciare la nascita di un personaggio che farà la storia del cinema moderno, talmente famoso da essere emulato successivamente in tantissimi film. “L’uomo dalla cravatta di cuoio” è soprattutto l’inizio di una collaborazione cinematograficamente storica e una vera svolta nella carriera del maestro Eastwood.

 

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