Permette? Rocco Papaleo: Il diario di un emigrante sognatore e un po’ disperato

Nel 1971, Ettore Scola va in America per dirigere questa pellicola. Con lui ci sono i suoi amici e colleghi di sempre, tra cui il solito inarrivabile Marcello Mastroianni. Da questo sforza produttivo nasce un film altalenante come pochi nella lunga e gloriosa carriera della regista; ma con momenti di grandissima denuncia del dislivello economico e sociale americano, che da soli bastano insieme all’interpretazione del Marcello nazionale a farlo ricordare.

La trama in breve:

emigrato italiano che lavora in miniera, si ritrova a Chicago per un incontro di boxe: viene investito, s’innamora di una modella e perde il biglietto dell’incontro. Da qui in poi iniziano le sue avventure per la città, con incontri vari: feste, illusioni e una bomba.

Nel lontano 1971 il cinema mondiale aveva preso varie direzioni; finita l’epoca delle nuove scuole europee, si era fatta avanti l’ondata dei giovani registi americani della New Hollywood, con intenzioni di rifondare il cinema più importante e potente del mondo. Mentre in Italia si godeva ancora della visione dei registi che avevano reso grande il nostro cinema negli anni Sessanta.

Scola, prima sceneggiatore, e poi regista, aveva già dato alla luce due gioielli come: Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa e Dramma della gelosia- Tutti i particolari in cronaca e in quel 1971 volle (uno dei primi) raccontare l’America attraverso gli occhi di un emigrato.

Iniziando dal bellissimo piano sequenza, che in sé racchiude l’idea del film, il regista ci racconta le brutture di una grande città americana, dove il razzismo e la noncuranza del prossimo sono la via principale. In cento minuti Scola, ci mostra il dislivello economico e sociale che attraversava le città americane, aspetto che è ancora tremendamente attuale.

Mastroianni con la sua faccia sorniona, riesce a dar vita a questo personaggio fuori dal tempo, sempre sorridente, sempre accondiscendente, genuinamente italiano, di quegli italiani un po’ scemi ma onesti. Scola ha dipinto gli italiani nel modo peggiore possibile per quaranta anni, qui fa della satira, spesso grossa, dipingendo questo italiano ingenuo e un po’ scemo in una società violenta, degradata, in preda al più bieco consumismo. Un ritratto, quello americano, che spesso sfugge di mano e rischia di finire in barzelletta.

Gli eventi si susseguono e ci portano ad un finale un po’ scontato, ma nei tanti alti e bassi, come detto in precedenza, ci sono immagini, sensazioni e colori di un America brutta, sporca e cattiva, almeno quanto L’Italia del film del 1976 (Brutti, sporchi e cattivi) dello stesso Scola. Le scene nel bar, i momenti on the road, mostrano un paese in preda all’indifferenza più totale, dove le persone vengono calpestate senza che possa avvenire niente di diverso, e allora l’ingenuità e la parziale bontà del nostro Rocco Papaleo, sono quasi sconcertanti.

La fotografia, spesso documentaristica, così livida e cruda, anticipa molti ritratti che la stessa New Hollywood farà di un’America degradata, violenta e in preda a pulsioni indomabili.

Nel personaggio di Rocco, si possono rivedere tutta una serie di personaggi ingenui che hanno attraversato la storia del cinema, personaggi che riescono a scuotere l’ambiente che percorrono, ma che inevitabilmente non possono che uscire con le ossa rotte nello scontro con la realtà.

Seppur con le sue tante imperfezioni, con le sue scelte anche registicamente discutibili, vedi l’uso del replay, come fosse un match di boxe, e anche con i tanti momenti onirici che rischiano di infastidire lo spettatore (soprattutto quello moderno), il film riesce a mostrare in modo diverso gli Stati Uniti.

Prima di Scola, vari registi europei, tra cui gli italiani Antonioni (Zabriskie Point) e Rossi (Smog), avevano mostrato l’America e le difficoltà dell’uomo moderno. Qui Scola, ci tiene a ribadire la sconcertante alienazione dell’uomo moderno e così facendo anticipa alcuni dei temi cardine del cinema anni Settanta, che mostrerà con assoluti capolavori (Vedi Taxi Driver) le difficoltà della vita nell’era del consumismo, all’interno di una metropoli.

Qualche parola va spesa sulla performance di un Mastroianni sbalorditivo, lui il simbolo dell’italiano nel mondo, che qui vestito molto male ricopre al meglio il ruolo di un minatore, un po’ scemo, ma onesto, annientato umanamente e fisicamente dalle brutture della città e dell’uomo.  Un personaggio, che fino allo scontro frontale con la macchina della bella modella (interpretata da una brava Lauren Hutton, che poi vedremo in un film emblematico per l’America degli anni Ottanta, come è American Gigolo) vive una vita totalmente alienante e alienata, in cui i suoi bisogni sono ridotti alla sola sopravvivenza e alle battute tra amici; con quell’incontro-scontro, si vengono a ri-creare in lui una serie di necessità.

Accusato a più riprese di essere provinciale, banale, ripetitivo, il film è stato rilegato come un film minore di un decennio che renderà il regista nativo di Trevico uno degli esponenti maggiori del nostro cinema. Nonostante i suoi tanti difetti e buchi di sceneggiatura, conserva un fascino e una denuncia sulle condizioni americane, che ancora oggi, pur con le dovute differenze, riescono a lasciare l’amaro in bocca e a creare riflessioni.

Un film tipicamente alla Scola, che mischia generi, idee e sperimenta visivamente, pur cadendo nel kitsch e ogni tanto nel ridicolo. Si tratta comunque di un film che testimonia la volontà di Scola di andare oltre i canoni della commedia all’italiana o del dramma da camera tipico del nostro cinema, per abbracciare un’idea, soprattutto visiva, diversa.

Magnifico il piano sequenza iniziale, come è grande e non si può dimenticare quel sorriso a trentadue denti di un Mastroianni in grande spolvero, che nel finale, travolto dagli eventi, si tramuterà in uno sguardo vitreo pieno di rancore.

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