Saturday Night and Sunday Morning (1960) di Karel Reisz

Il 27 ottobre del 1960, solo a causa dell’insuccesso di un film della Warner, esce nei cinema del West end di Londra Saturday Night and Sunday Morning di Karel Reisz.

E’ il terzo progetto della Woodfall, fondata da Richardson con il commediografo John Osborne. Il film è l’adattamento del romanzo di Alan Sillitoe, pubblicato quattro anni dopo la premiere di Look Back In Anger.

L’attore principale è il recentemente scomparso Albert Finney, emergente in teatro, apparso fuggevolmente in The Entertainer diretto da Richardson, ma allora sconosciuto al pubblico cinematografico.

Interpreta Arthur Seaton, un giovane tornitore nella fabbrica di biciclette della Raleigh Bicycle Company, realtà già apparsa nei precedenti documentari di Reisz. Siamo quindi all’interno dell’ambiente della classe operaia di Nottingham degli anni ’50, nelle Midlands orientali dell’Inghilterra.

Fin dall’inizio, e in maniera circolare anche alla fine, Saturday Night and Sunday Morning affronta in maniera decisa lo scontro tra ambiente sociale ed individuo e risolve la dicotomia tra il Reisz documentarista e il Reisz regista di finzione. Solo grazie al suo background documentario, il regista può esplorare con realismo i temi dell’adulterio, dell’ubriachezza, dell’aborto e della violenza. Aperto da un totale della catena di montaggio, il film si focalizza subito su Arthur: al tornio, con le maniche della camicia arrotolate, la sua voce si sente con un aggressivo monologo interiore. Poi butta lo straccio che ha in mano, si accende una sigaretta e si prepara a uscire dalla fabbrica.

Da un lato, Karel Reisz punta sul protagonista, che ha la figura massiccia e l’energia nervosa di Finney. Il regista di origine cecoslovacca usa molti primi piani e piani americani nei suoi dialoghi e monologhi negli interni, e molti carrelli e panoramiche che lo accompagnano, lo precedono o lo seguono nelle sue escursioni in esterni. C’è una sorta di identificazione tra cinepresa e personaggio, come nella scena in cui Arthur sta in cima alla scala del pub e oscilla indeciso. La macchina si piazza alle sue spalle e lo inquadra mentre precipita; poi scende e va a scoprire sul suo viso una smorfia che mostra il suo stato di ubriachezza.

Dall’altro lato, però, Reisz non dimentica le vedute d’insieme del quartiere: la fabbrica, i tetti delle case, i vialetti sul retro e le strade con gli autobus. Sono immagini che hanno l’obiettivo di minimizzare le prospettive ‘eroiche’ del personaggio e trasmettono un senso di asfissiante uniformità.

Arthur non esce mai dallo spazio in cui è confinata la sua classe di appartenenza; si muove tra le case del quartiere, la fabbrica, il pub, il cinema, il luna park e il fiume dove pesca con il cugino Bert.

La filosofia di vita di Arthur è vivere il momento giusto, il suo “good time”: il resto è propaganda. Il che significa ballare e fare molto sesso, magari anche con donne sposate, in particolare con Brenda (interpretata da Rachel Roberts), la moglie di Jack, il suo collega di lavoro. Concetto allargato al romanzo, dove, diversamente dal film, ha una relazione anche con Winnie, sorella di Brenda.

Soprattutto Arthur getta con violenza il suo disprezzo su tutti. Non stima i propri genitori, chiusi in casa davanti ad un televisore. Ha disprezzo per il marito di Brenda, Jack, che non è un brutto tizio ma fondamentalmente è un fallito, che non ha il coraggio nemmeno di picchiare Arthur, ma si vendica attraverso il cognato militare e un suo compagno. È sprezzante verso un poveretto che butta un mattone su una vetrina. A lavoro, come uno scolaro monello, mette un topo morto sul banco di un collega di sesso femminile. A casa con una carabina ad aria compressa colpisce al sedere Ma Bull, la vicina pettegola e impicciona. È feroce contro il governo rapace che prende la tassa sul reddito, contro il porco che raccoglie l’affitto, il bastardo che gli chiede di andare alle riunioni sindacali o di firmare un documento contro quello che sta succedendo in Kenya. Preferisce i comunisti ai conservatori e ai laburisti, ma ha l’impressione di essere fregato in cambio del voto che gli chiedono. Tutti in fondo stanno cercando di ottenere qualcosa da lui. Perché dovrebbe pagare l’affitto o l’imposta sul reddito, perché dovrebbe sostenere una fazione o preoccuparsi delle atrocità nel mondo?

È dunque una forza della natura, la quintessenza dell’energia giovanile, una figura esplosiva. Si gode il sabato sera al pub, ingurgitando come gesto di sfida 11 pinte di birra e 7 piccoli gin. Passa la notte a casa della sua amante ma poi la domenica mattina se ne va in fretta, perché il marito sta ritornando. Proprio per questa mancanza di illusioni e di ideologie precostituite, per la sua ‘amoralità’, Arthur Seaton diventa la personificazione della crisi di identità che sta attraversando la classe operaia britannica. Un inglese arrabbiato “with more than just a few wild oats to sow”.

Eppure è profondamente umano e generoso con le due donne principali della sua vita, che sono personaggi ben definiti: con Brenda, che aiuta nella sua problematica di gravidanza, portandola la domenica a parlare con la zia; soprattutto con Doreen (una splendida Shirley Anne Field), una ragazza a cui strappa un appuntamento, e frequenta nella casa di lei, imbattendosi in una eventuale suocera ostile.

La sua rabbia potente e inaudita, che coesiste però con il proprio atipico radicamento nell’ambito sociale in cui vive, si riflettono nel rapporto con l’istituzione del matrimonio. E’ questa la “direzione” che vuole far prendere alla sua vita. Ma nello stesso tempo la paura dell’omologazione è forte, il pericolo di essere una coppia uguale a tante altre, chiusa in una casetta pretenziosa simile a molte altre.

La rabbia di Arthur è il punto da cui parte l’esperienza del Free Cinema nel suo primo momento di espressione. Sentire una musica ribelle dentro che dice di fare proprio quello che non si può fare. Essere esattamente l’opposto di quello che la gente ci dice di essere. Per il gusto del proibito, dell’alternativa e di una giustizia ancora da costruire per essere detta tale.

Di Marco Chieffa

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