Silverado (1985) di Lawrence Kasdan

Il western è morto! Viva il western!

Siamo nel 1985, il western è un genere ormai in disuso, lontano dai gusti del pubblico e dalle idee di Hollywood, Kasdan è un giovane sceneggiatore e regista che vuole rileggere i generi classici americani: noir, commedia e appunto il western, nello stesso anno il vecchio Clint Eastwood sforna il suo western minore, ma che ha comunque molto da dire sul genere.

Il 1980 può essere un anno di cesura per questo mitico genere, gli anni Settanta sono alle spalle, i tanti miti: attori, registi, autori, ormai sono vecchi o sono morti e Michael Cimino, questo ribelle di Hollywood, gira il western definitivo, il fordiano i Cancelli del cielo che pone fine ad un certo modo di fare western portandolo alle estreme conseguenze, e con il suo mega flop (colpa dei produttori) fa fallire la United Artists e porta il genere stesso definitivamente lontano dai gusti cinematografici delle persone.

Prima di Kasdan, si deve menzionare l’esordio del vero erede dei grandi cineasti degli anni ‘60 e ‘70 ovvero Walter Hill, proprio in quel 1980, ma questa è un’altra storia.

La trama in breve:

Quattro compagni d’avventura, ex detenuti ma simpatici e generosi, sono diretti a Silverado, nel Far West. Emmet e il fratello Jake vogliono salutare la famiglia della sorella prima di partire per la California, Mal vuole tornare a lavorare la terra con suo padre e sua sorella, il quarto, Peden, li segue per spirito d’avventura. Arrivati a Silverado, i quattro cavalieri scoprono che la famiglia di Mal è stata distrutta, che il cognato di Emmet e Jake è stato ucciso e il loro nipotino rapito. Dietro tutti questi efferati delitti si cela lo sceriffo di Silverado.

Il film è un omaggio al western classico, che per alcuni aspetti rinnova, ci immerge in una miriade di citazioni senza far mai pesare la cosa, riporta con vigore in auge una storia di cowboy: banditi, lavoratori, coloni, sceriffi corrotti, duelli, scontro tra bene e male.

È un film classico ma con alcune immissioni nella post-modernità, del resto il cast stesso esce dai binari del già visto, ed è anzi un elemento di eccellenza del film, perché sono tutti bravi nel loro ruolo, dal poco espressivo (in questo film) Kevin Kline, che è l’attore feticcio del regista, al mitico personaggio di Danny Glover, un Django tarantiniano trent’anni prima, a Scott Glenn che ha la faccia da western, per continuare con un giovane Kevin Costner che diverrà l’emblema, come attore e regista, del western anni ‘90.

Ci si diverte come nei western di John Ford e  Howard Hawks, c’è la giusta dose di violenza a sancire ancora una volta che il West non era un posto così piacevole, ci sono i duelli e gli scontri tipici del genere: lo sceriffo corrotto che è un ex bandito, come il Pat Garrett di Sam Peckinpah e come altri prima di lui,  soprattutto nei film seminali di Anthony Mann, c’è la formazione insolita, molto Hawksiana, di un gruppo di uomini che per motivi personali, ma anche sociali, si ritrovano a combattere contro i sopraffattori di turno e ci sono molti echi di quel grande classico che è I Magnifici Sette di John Sturges, con il rispetto dovuto verso Akira Kurosawa.

Kasdan rispetta in fase di scrittura e di regia tutti i topoi del genere, fa rivivere con intelligenza gli umori del western classico, senza scordarsi del revisionismo, ma puntando dritto su uno spettacolo altamente avvincente, su attori in splendida forma, su una fotografia e una scenografia di grande impatto.

In un decennio in cui il western, il genere americano per eccellenza, che però ha così tanto segnato anche la cultura e la cinefilia italiana, marcando spesso anche il punto sui disvalori interni alla più grande potenza del mondo, Silverado si configura come una piacevole eccezione da riscoprire; il film segue un doppio binario: da una parte tende al revisionismo, dall’altra al classicismo.

I personaggi stessi segnano la post-modernità dell’opera, la barista interpretata da Lina Hunt, fresca di un premio Oscar, il ruolo importante di due attori afroamericani Danny Glover e Lynn Whitfield, l’uso divertito di attori come Jeff Goldblum e John Cleese.

Se in fase di scrittura alcuni passaggi sono sfuggiti di mano, la regia di Kasdan è ottima, il senso del ritmo, le scene d’azione, insomma una boccata d’ossigeno per un genere che tornerà grande, forte e influente solo nel 1990 con il clamoroso successo e con tutti premi dati a Balla coi lupi, proprio di Kevin Costner che in quel 1985 diventa una star grazie a questo film e soprattutto al cult Fandango.

Lawrence Kadsan invece sarà ancora per un lustro un regista importante a modo suo, e tornerà al western nel 1994 con Wyatt Earp, interpretato ancora da Kevin Costner, che con il suo insuccesso segnerà la carriera del regista.

 

 

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