Spider-Man: Far From Home (2019) di Jon Watts

Con Spider-Man: Far From Home di Jon Watts, i Marvel Studios finalmente, nel concludere la Fase 3 del media franchise denominato Marvel Cinematic Universe, ci parla del significato di fare film, dopo undici anni dall’inizio dell’esperienza. E’ dunque quello che si può dire un meta-film e lo fa attraverso un personaggio ben preciso: il vilain Mysterio interpretato da Jake Gyllenhall.

In un momento di profondi cambiamenti nel plot, dopo la morte di Iron-Man e lo stravolgimento della Terra post Thanos, l’innalzamento di “grado” affidato all’adolescente Spider-Man si affianca appunto al personaggio di Quentin Beck / Mysterio. Il fatto che a dargli il volto sia l’attore Gyllenhall, apparentemente fuori posto in un film-fumetto della Marvel, intensifica ancora di più la riflessione alla base di un suo discorso all’interno del film. In particolare mi riferisco al momento in cui il personaggio esce fuori dal film e parla della società marveliana ma indirettamente e ambiziosamente della società tout court, che dà credito e rispetto solo a chi sia disposto a mettersi un costume addosso. Ecco che quindi Mysterio diventa emblematicamente il primo super-eroe che abbia come superpotere gli effetti speciali, e non come gli altri una peculiarità intensificata e fatta crescere dalla “scuola” dei super-eroi.

Al posto di uno scudo o di un martello, Mysterio ha come arma principale gli effetti speciali e come arma di contorno le “fake news”, in una società della post-verità. L’argomento diventa dunque assai scivoloso e ad un passo dal politically incorrect, se non intervenisse la consolatoria distinzione tra bene e male, tra verità e finzione che purifica in maniera catartica il cattivo di turno. Mysterio avrebbe potuto essere colui che, parlando allo spettatore tipico dei film Marvel, denunci la puerilità di tutti gli eroi in calzamaglia e si dichiari l’unico adulto in un mondo di bambini. In realtà viene smascherato (perché anche lui indossa una maschera), ovvero si sottolinea la sua dimensione narcisista, maniaca e omicida, dovuta ad un passato che non voglio svelare.

Contro l’attacco psichedelico di Mysterio bisognava trovare un degno ed opposto “buono”, che non poteva non avere il volto di Spider-Man. Il giovane Peter Parker, orfano dei consigli paterni di Tony Stark, solo in parte sostituito da Nick Fury, deve ora appoggiarsi sulle proprie forze, avendo come obiettivo implicito quello di diventare adulto. Deve percorrere una strada da solo, con l’unico aiuto di una stampante 3D in grado di fabbricargli tutto, persino il costume, e di un’intelligenza artificiale inserita in un paio di occhiali, nota come E.D.I.T.H (Even Dead, I’m The Hero), che controlla un esercito di droni ed è capace di hackerare qualsiasi sistema informatico. Dunque il mago degli effetti speciali si scontra con un ragazzo normale che vorrebbe avere una vita normale, con ancora il volto del bravo Tom Holland.

Questa caratteristica dell’eroe di Spider-Man: Far From Home inserisce nel film anche i tratti della commedia romantica, grazie al personaggio femminile di MJ, interpretato dall’attrice e ballerina Zendaya. Ancora una volta di tratta di una ragazza forte e risoluta, più di Peter, ma anche piena di insicurezze tipiche dell’adolescenza e quindi completa e variegata nella sua caratterizzazione. Peter e MJ si trovano, assieme ai compagni di classe, lontano da casa, in una vacanza che si colloca dopo il cosiddetto “blip”, ovvero lo schiocco di Thanos che ha cancellato momentaneamente la vita di molti, per poi tornare invecchiati di cinque anni rispetto ai superstiti. Il film è anche una classica gita scolastica, tra professori ansiosi e distratti, litigi e appunto amori, in un’Europa da cartolina, partendo da Venezia, Praga, Londra, Berlino e un villaggio olandese ricco di tulipani, per poi tornare a New York.

L’attacco portato da Mysterio alle certezze esistenziali e sociali va dunque di pari passo con il processo di crescita di Peter Parker / Spider-Man: al centro c’è il traguardo di credere in se stessi. Fondamentale è il discorso sul bisogno della gente di credere, sul rapporto tra verità e finzione e sulla spettacolarizzazione della realtà. Creare da parte del regista Jon Watts degli spettacoli all’interno dello spettacolo del film, rendere Spider-Man: Far from Home a tratti un film visionario si incastona molto bene con i tratti scanzonati di una gita scolastica e una commedia romantica, a cui si aggiunge un tono nostalgico rispetto a Tony Stark. I rimandi al primo Iron Man del 2008, ovvero all’inizio di MCU, anche attraverso il personaggio di Harold “Happy” Hogan (l’ex guardia del corpo di Starck è interpretata sempre da Jon Favreau) rendono l’atto conclusivo della terza fase come un anello circolare che si collega all’inizio e conclude così un ciclo.

Come sempre, molteplici sono i momenti in cui si parla direttamente al pubblico più fedele dei film Marvel, con particolari o finali post-titoli che si collegano agli altri film e di cui non potrò parlare, per non togliere il gusto di scovarli direttamente. Mi piace invece sottolineare le discussioni fatte dai due ragazzi in gita in Italia sui molteplici significati da attribuire all’espressione “Boh”. Oppure la gag sull’aereo sui giovani che possono bere alcolici rispetto a chi non ha subito il blip, e che quindi hanno tecnicamente cinque anni in più pur non essendo invecchiati fisicamente. O ancora quando Quentin Beck afferma di essere originario di Terra-833, diversamente dagli umani che vivono su Terra 616. Infine la reazione infastidita di Nick Fury al nome di Captain Marvel, per la prima volta citata con il nome da supereroina. Ancora una volta gli studi Marvel in Spider-Man: Far from Home creano inside jokes per sfidare, come in una pagina enigmistica, gli amanti dei super-eroi e del loro universo.

Di Marco Chieffa

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