Tesnota- Closeness (2017) di Kantemir Balagov

Con il suo film d’esordio, il regista Kantemir Balagov dà voce alle contraddizioni di un’epoca-http://lalucedelcinema.altervista.org/tesnota-closeness-un-film-di-kantemir-balagov-2017/tes-3 tanto vicina quanto inverosimile- di un territorio e dei suoi conflitti storici ed identitari.

La trama in breve

Nella Repubblica autonoma Kabardino-BalKaria (Caucaso settentrionale), precisamente a Nalchik, vive Ilana (Darya Zhovner), una giovane donna appartenete ad una minoranza di russi ebrei. La sua realtà gravita attorno all’officina del padre Avi (Artem Tsypin), dove lavora; il focolare domestico e una vita privata che riflette la sua indole ribelle, antisistemica. Un giorno, il fratello David (Veniamin Kats) viene rapito assieme alla promessa sposa, Leia (Anna Levit) e la famiglia si trova improvvisamente a fare i conti con un riscatto troppo alto da pagare ed una comunità antisolidaristica e carica di dissidi interni. Sarà in quest’ambiente difficile che Ilana imparerà a fare delle scelte concrete incarnando il binomio perdita- conquista che contraddistingue ogni crescita umana interiore consapevole.

La lettura del film non può prescindere da tre parametri. Il primo è il contesto storico: ci troviamo a cavallo tra la prima (1994-1996) e la seconda (1999-2009) guerra cecena. Il 1998, pertanto, è un anno compresso tra due conflitti. Parimenti, sono compressi i personaggi all’interno degli schemi della loro comunità. Infatti, il secondo parametro di lettura è certamente il contesto culturale. Reduci da svariati trasferimenti, Ilana e la sua famiglia tentano di cercare una collocazione ed un’identità che li faccia sentire, finalmente, appartenenti ad una comunità e li strappi, definitivamente, da un nomadismo compulsivo quanto necessario. Da ultimo, il contesto geografico narra autonomamente una lacerazione di cui, poi, gli eventi sono riflesso. Infatti, la Repubblica autonoma kabardino-Balkaria è morfologicamente divisa in sezione meridionale e sezione settentrionale, corrispondente al Bassopiano caspico.

In questa cornice, dove tutto è provvisorio- la storia, l’identità dei popoli, i confini di un territorio- Balagov alimenta l’effetto “morsa”. Per farlo, si serve del formato 4:3 il quale, storicamente utilizzato nel cinema muto, offre allo spettatore l’immagine nella sua pienezza al primo colpo d’occhio. L’effetto è una vicinanza asfittica alla scena che rende perfettamente lo stato d’animo dei personaggi, particolarmente di Ilana.

Come il luogo e la sua storia rivendicano il loro diritto di essere, così la voglia d’indipendenza della protagonista è pronta ad esplodere da un momento all’altro. L’insofferenza iniziale è progressivamente sostituita da una radicale opposizione. Con abilità il giovane regista, allievo di A.Sokurov, offre delle scene emblematiche che consentono allo spettatore di partecipare emotivamente al cambiamento di Ilana. Mutamento che avviene attraverso due passaggi di conquista della libertà.

Il piano sequenza dell’offerta, svela la reale identità della comunità ebraica in cui vive la protagonista e smaschera l’ostilità e l’odio annidato negli animi dei suoi membri. Contro la crudeltà cieca del gruppo- che ricorda il Beyond the Hills di Cristian Mongiu- Ilana risponde con una progressiva avversione che sfocia in una rottura definitiva. Mascherata dietro il candore del matrimonio, seppur combinato e forzato, la vendita della sua libertà è il prezzo da pagare per ottenere dalla ricca famiglia del promesso sposo i soldi per il riscatto del fratello David. Ma la ragazza, con un paio di mutande sporche di sangue, prova della perdita della sua verginità sembra dire: “La libertà non è in vendita”. Con questo gesto, che rivendica il possesso del corpo di donna, si concretizza il primo passaggio verso l’indipendenza. Tuttavia è una rivoluzione che fatica ad essere accettata. Sul punto, è efficace la busta con il denaro schiacciata dalla mano del ragazzo cui è stata offerta in sposa. Insomma, il rilascio del rapito David non passerà attraverso il rapimento, seppur simbolico, della libertà della sorella.

Il secondo passaggio ha luogo nell’abbraccio finale della madre Adina (Olga Dragunova) dalla quale Ilana non si svincola fisicamente- come aveva fatto il fratello – ma rifiuta l’apnea di un affetto forzato con una semplice frase: “Non hai più nessuno da amare”. Torna in questo segmento narrativo, l’effetto “morsa” proposto costantemente dal regista che richiama alla mente la lunga inquadratura sulla gola della giovane.

Con il suo primo film, selezionato al Festival di Cannes 2017 nella sezione Un Certain Regard e vincitore del premio FIPRESCI, il regista è riuscito a consegnare un dramma sociale, dove realtà storica e vicende personali si amalgamano in una trascuratezza ambientale che fa da sfondo alla trasformazione di un brutto anatroccolo in un cigno.

Di Simona Aloisio

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