Vision – Aus dem Leben der Hildegard von Bingen (2009) di Margarethe Von Trotta

Ad ottobre di questo anno Angelo Branduardi produrrà un nuovo album Il cammino dell’anima ispirato alla storia di Hildegard von Bingen, proseguendo il grande interesse manifestato nel corso degli anni attorno alla figura di questa donna del XII° secolo. Nel 2009 la regista tedesca Margarethe Von Trotta realizzò il film Vision – Aus dem Leben der Hildegard von Bingen. Da sempre coinvolta nel movimento femminile degli anni ’70, la cineasta tedesca rivolse l’attenzione alla monaca benedettina già nel 1983, mentre scriveva la sceneggiatura di Rosa Luxemburg, nell’ambito di interesse generale per le donne emarginate nella storia. Riuscì a trovare un produttore solo nel 2009, chiamando l’attrice icona Barbara Sukowa per dare il volto a colei che è riuscita a rivendicare maggiore responsabilità delle donne all’interno dell’ordine benedettino. L’importanza di Ildegarda in questa prospettiva, oltre quella di respingere l’indignazione della Chiesa per le visioni di Dio, è stata soprattutto nelle abilità diplomatiche e a volte manipolative verso gli uomini per il fine di fondare un convento gestito interamente da lei stessa. Von Trotta sottolineò l’attualità di Ildegarda anche per la sua passione rivolta alla medicina alternativa e alla cura della natura; ma soprattutto volle mettere in luce il suo monito rivolto al potente di turno Federico Barbarossa a non essere avido di potere e ricchezze.

Il film Vision è lineare, tutto teso a raccontare la vicenda di Hildegard, decima figlia di una ricca famiglia germanica dell’Assia renana, nata nel 1098, emblematicamente un anno prima della crociata e conquista di Gerusalemme. All’età di otto anni, a causa delle continue visioni mistiche e della cagionevole salute, viene condotta in un convento benedettino dell’abbazia di Disibodenberg, sotto la protezione della badessa Jutta (Giuditta) di Sponheim. Qui studia i testi di Sant’Agostino e Dionigi l’Aeropagita e legge sulle arti e l’erboristeria. Alla morte di Giuditta, Hildegard viene eletta dalle compagne a succederle nel ruolo di badessa del monastero maschile di San Disibodo; da qui inizia la sua scalata vertiginosa e a suo modo rivoluzionaria.

Intanto scopre con orrore che Giuditta era morta cinta da un doloroso cilicio; da allora Hildegard decide di permeare la comunità monastica di gioia per la fede. Successivamente riesce a coinvolgere il fidato monaco Volmar (interpretato da Heino Ferch) e poi la giovane novizia Richardis (sua pupilla nella quale rivede se stessa) a riformare l’ordine del convento. Si scontra duramente contro il volere degli abati, che sfruttavano la promiscuità con le giovani suore per sfogare le loro libidini, e sfrutta la sua abilità diplomatica ingraziandosi il favore della Santa Sede, nella figura del Santo Padre e di quel Bernardo di Chiaravalle, allora personalità più rilevante del papa stesso. Il fine era fondare un nuovo monastero per le sue consorelle. Riesce nell’intento, trasferendosi nella comunità femminile di Bingen, intitolandola a San Ruperto, di cui fu l’unica che scrisse una biografia. Sulla riva sinistra del fiume Nahe, alla confluenza del Reno, fondò così il monastero di Rupertsberg, facendo vestire sfarzosamente le sorelle con gioielli e salutando le festività domenicali con canti e danze. Fondò anche un’altra abbazia nel lato opposto del Reno, che tutt’ora è un centro religioso e culturale.

Von Trotta decise di minimizzare dal punto di vista registico il lato visionario della vicenda, concedendo poco spazio ai momenti mistici, durante i quali per poco tempo la macchina da presa indugia su un maggiore cromatismo, un uso improvviso di zoom e un’angolazione distorta. L’interesse primario rimane la ricostruzione storica, concedendo dovizia di particolari sugli spazi fisici del convento e ricreando il clima claustrofobico degli interni, grazie anche alle musiche direttamente ispirate ai madrigali composti dalla stessa Hildegard. Infatti questa donna non solo aveva l’ardire di parlare in pubblico (cosa rara per quei tempi) e si confrontava alla pari con gli uomini potenti, ma appunto componeva e scriveva di musica, riempiva volumi di filosofia, di medicina alternativa, di teatro, di studi sul sesso, inventava una lingua artificiale e alla clausura preferiva i viaggi, predicando a Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz e Würzburg. Von Trotta la ritrae a cavallo, libera nella sua creativa vitalità, o inscenando nel suo castello-monastero opere in costume, con le sorelle che rappresentavano la schiera delle virtù e l’unico uomo Volmar rappresentante del diavolo. Papa Eugenio III leggerà i scritti di Hildegard durante il sinodo di Treviri, caso allora unico di donna nella storia della Chiesa. Quando uscì Vision non era stata ancora canonizzata come santa dalla Chiesa, e la carica rivoluzionaria espressa dal film Von Trotta era ancora più polemicamente forte. Nel 2012 Benedetto XVI proclamò santa Ildegarda di Bingen dottore della Chiesa universale.

Centrale rimane nel film della Von Trotta l’amore di Hildegard per la felicità e l’umanità, e la sua fede è strettamente connessa a questa disposizione, in contrasto con la concezione che abbiamo del Medioevo. Alla “laica” regista tedesca interessa molto questo aspetto della vicenda, come i molti contrasti avuti dalla protagonista. Non ultimo quello con la propria pupilla Richardis, durante il quale dovrà combattere con se stessa e superare l’incapacità di staccarci dalle persone a cui vogliamo bene, per farle camminare con le proprie gambe. La Von Trotta ha il merito di non spingere l’acceleratore sulle reali consistenze delle visioni mistiche e di non sviscerare il reale rapporto tra Hildegard e Richardis. Il plot di Vision – Aus dem Leben der Hildegard von Bingen segue in maniera coerente la parabola umana di Ildegarda, esaltando la lezione umana e civile che ne consegue.

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