Cercando di capire cos’è il cinema indipendente…la seconda serata del Girogirocorto Film Festival

Nella seconda serata del GGC c’è spazio, ancora, per umori, sensazioni, colori e immagini diverse tra loro; si respirano sconfitte e rivincite personali, sorrisi e pugni, amarezze e gioie.

Un piccolo universo in sette cortometraggi capaci di dare voce alla nostra attualità, perlomeno europea; tra un cortometraggio e l’altro, intervengono alcuni registi ed autori e da loro apprendiamo alcuni aspetti importanti della lavorazione.

La serata si apre con un corto francese, Shakira, di una giovane regista che è anche, soprattutto, una famosa attrice. Il cortometraggio ci proietta con realismo e fermezza nella periferia parigina, in mezzo ad una baraccopoli sorta su una linea dismessa della ferrovia; la protagonista segue il suo romanzo di formazione cercando di guadagnare soldi per aiutare sé stessa e la sua famiglia. Il primo “amore”, la voglia di essere come le altre ragazze; esplicita ed efficace la scena dello shopping con tanto di sguardo in macchina; ci sono poi i furti, i litigi ma non ci sono cliché, per una tematica quella “gitana” spesso portata sullo schermo nel cinema europeo degli ultimi trent’anni.

Da Parigi al Kossovo, entriamo così in universo fatto di piani sequenza, nel corto più cinefilo di questa edizione; divertente e divertito, condotto con lunghi piani sequenza, il corto compie una satira del sistema culturale di un paese che fu comunista, e dentro la satira c’è lo spazio per equivoci, rancori e vecchi amori, evidentemente non finiti… (Ditë e Kuqe)

Uruguay, terzo corto di serata, ci porta invece in altri luoghi, in un ospedale psichiatrico; il cinema ne ha raccontati tanti e in modi diversi, qui si parla di abusi, della violenza perpetrata da chi ti dovrebbe proteggere. Un uomo in questo caso, un infermiere; la protagonista nonostante tutto riesce a reagire, e dentro le tinte thriller dell’opera c’è una denuncia che è quella del caso specifico ma soprattutto del caso macroscopico della violenza sulle donne, tema di cui parlava già En-Camino.

Tornando in Francia e con umori molto diversi, in una commedia romantica con un pretesto divertente e apocalittico, ovvero che la musica è finita, non ci sono più combinazioni possibili. Questa trovata è un pretesto per un lungo scambio di vedute sulla musica e la vita, dei due protagonisti. (Apocalypse Notes)

La quinta opera di serata invece ci parla sempre di una coppia, un po’ più giovane della precedente, siamo a Roma; i dubbi del post studio, le difficoltà nel decidere una strada, tra realtà (il bar) e “sogno/realizzazione artistica” (la musica), le incomprensioni nella coppia, forse generate anche da percorsi che si fanno via via diversi tra loro. La musica ancora a far da motore, una regia capace di emozionare con momenti catartici e di un finale da ricordare. (Per non sparire lentamente)

Dalla Francia arriva il sesto lavoro di serata, a continuare questo binomio ormai storico che segna le cinque edizioni del festival; le protagoniste sono trentenni, artiste, emigrate in Francia e che contribuiscono con loro lavoro culturale all’accrescimento del paese, ma la burocrazia ha altri piani per loro. Il pretesto, “drammatico”, di una burocrazia perversa dà la possibilità alla regista di parlare del ruolo dell’artista in questa società ma anche di parlare delle tre protagoniste, dei loro dubbi, pensieri e delle mille sfaccettature che si trovano dietro ad un lavoro, insomma di persone…oltre i talenti eccezionali. (Exceptional talent)

Il corto che termina la serata ci chiude in uno spazio, un carcere minorile, lo capiamo solo a metà cortometraggio; il fischio di una guarda e l’ora d’aria è finita, con essa anche quel momento di evasione, di sport, di parole, di rimpianti e felicità giovanili. Ma la fantasia, l’evasione mentale, non può essere rimossa e allora i due protagonisti sognano, immagino, si immergono in una realtà diversa, altra; la fantasia e la mente che ti salvano dalla realtà, spesso, infima. (Il pesce toro)

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