Metti una sera di Dicembre, il Natale alle porte…La prima serata del Girogirocorto Film Festival

Cosa c’è dietro ad una selezione di un festival come è il Girogirocorto Film Festival; l’idea di mostrare una serie di cortometraggi che abbiano una loro integrità, estetica, visione del mondo e del cinema, ma anche la possibilità di mostrare sul grande schermo opere imperfette, grezze, opere di giovani autori che si stanno facendo strada, ecco forse questo è l’aspetto ideale ed idealista di una selezione.
Quel che è certo è che quest’anno la selezione è stata complessa, appassionante, mai scontata; seguendo il filo conduttore delineato nel bando, sono arrivati molti lavori a tema sociale, il diritto alle proprie scelte: di vita, sessuali, religiose, ma ancora il mondo delle periferie, il disagio nel vivere la propria vita, l’alienazione.
Giovani autori che si sono confrontati con temi importanti, ma non solo, anche commedie sul rapporto di coppia, sulla difficoltà di incontrare una persona e ancora, l’immigrazione, l’integrazione, thriller psicologici, un mondo variegato da cui alla fine sono emersi, non senza un dibattito accesso, venti cortometraggi, venti opere che sintetizzano l’intero linguaggio visivo espresso in questa V edizione.
La prima sera, in tal senso, è un mix di umore, sensazioni, storie e stili.

Si parte con il cortometraggio più provocatorio della selezione, che ha scatenato molte riflessioni anche nella discussione delle Giuria di qualità; Squish è un’opera già matura, complessa, stratificata, dallo stile preciso e dalle idee chiarissime, che si inserisce in un mondo cinematografico preciso, in quella satira feroce e spesso così efficace che ha espresso negli anni il cinema belga.

Si passa poi per il Messico, con En camino – Messico, machismo e nuvole, un documentario d’impatto sul ruolo della donna in Messico, con interviste fatte dai registi sul territorio; emerge un quadro disarmante, con tanto di numeri, che purtroppo riguarda tutto il mondo. Machismo, patriarcato, capitalismo, tre parole che compaiano spesso e che creano una situazione a cui non si vede una via di fuga, se non nella “resistenza”, nella conoscenza e condivisione di una battaglia da fare tutti insieme donne ma anche uomini, un documentario che ha molto da dire e che regala anche immagini da ricordare.

Nurradin invece ci riporta in Italia, e ci mostra una storia d’amore improbabile nel suo contesto e pure così reale, spontanea. La regia cerca di mantenere saldi i presupposti, un tema sociale appunto sulle scelte di vita, un dramma personale, il buio della strada e l’impossibilità di seguire un amore; pur con i suoi errori sintattici, il corto riesce a trasmettere l’urgenza di un racconto ancora drammaticamente attuale, in cui il contesto non permette a due ragazzi, così diversi, di vivere la loro vita.

Welcome to Thiercelieux è invece un lavoro sintetico e meta cinematografico, un esercizio divertente e divertito; in cui commedia ed horror si incontrano, e il finale aperto dimostra l’acutezza dell’assunto.

Una Voce è invece un corto tutto al femminile, di una donna che vive la sua alienazione in casa, il suo rapporto via telefono con un uomo che non ha mai conosciuto; le paure, le incertezze, le ansie di tutti i giorni, i dubbi esistenziali su cosa sarà e sui rischi da non correre per ritrovarsi, forse, ancora più feriti. La regia ha uno stile preciso e riesce a seguire la claustrofobia della storia senza immergerci nel dramma, lasciando anche spazio a momenti meno grevi; un corto intelligente che mostra un momento nella vita di molti; l’isolamento di tante vite e l’incertezza.

Where the leaves fall invece ci porta in Cina, il protagonista vede così i luoghi dov’è cresciuto il padre che non c’è più, conosce meglio il nonno e le tradizioni; scalpita per tornare a casa nella sua Milano, in mondo lontano dalla Cina dove ancora le tradizioni sono così importanti, ma la Cina è anche molto altro e nel suo piccolo, la regia lo mostra. Un incontro generazionale e geografico, tra vite e mondi così distanti, un incontro che lascerà molto al giovane protagonista. Lo stile di regia riesce a seguire ed omaggiare la cinematografia cinese; l’evento traumatico diventa così una possibilità di crescita ed apprendimento.

 

Infine, Rocks and Crows, l’opera più estetizzante del Festival, un sintetico ritratto del nostro mondo, una metafora, esplicita, dei rischi dell’uso, senza regole, delle armi. Efficace, riuscito, con una fotografia suggestiva. La degna chiusura per una serata piena di temi, immagini potenti e riflessioni.

Precedente Cry Macho (2021) di Clint Eastwood Successivo Tutte le strade portano al...Girogirocorto