Napoleon (2023) di Ridley Scott.

Di Marco Chieffa

 

Nessuno si senta escluso. Il Napoleon di Ridley Scott è puro cinema. Il mezzo e il personaggio si sovrappongono e icasticamente coincidono. Il film non indugia su antecedenti letterari (c’è solo la sceneggiatura di David Scarpa, come in The last duel) o, peggio, riduce la storia a brandelli giudiziari di dubbia attendibilità, alla stregua di un Oppenheimer o di una tribù indiana qualsiasi. Si va dritti nei campi di battaglia e sui soffici letti, con inquadrature perfette, primi piani incisivi e scene con plotoni di fanteria e cavalleria magistralmente sincronizzati. Allo stesso modo l’eroe di Ajaccio rappresentato non si perde in sofismi sterili e burocrazie da finta diplomazia: l’amore per una nazione guida senza indugio le tattiche militari e amorose, quasi all’unisono.

In una cornice storica inquinata irrimediabilmente dal gioco al massacro del più puro di tutti, che sanziona con la ghigliottina colui che un secondo prima purificava gli impuri, il personaggio Napoleone incarnato da Joaquin Phoenix rompe questa dinamica.

Parafrasando e capovolgendo una frase manifesto di Fassbinder, Napoleone non fa film ma lancia bombe. Non gli interessa la messa in burla teatrale della decapitazione di Maria Antonietta: non guarda nemmeno un secondo il mondo dello spettacolo e del gioco d’azzardo. A lui interessa solo una donna di quel mondo, Giuseppina di Beauharnais, in quanto donna che nasconde dentro la gonna il segreto che cercherà sempre, come una condanna, senza potersi esimere in futuro dal continuare a farlo.

E’ lo stesso sguardo con cui osserva un muro di una fortificazione da espugnare, un deserto soffocante da valicare o una steppa fredda da superare. Sempre con la stessa feluca in testa, feticcio inseparabile, con cui solo momentaneamente ornare una mummia egizia vinta e compagna di eternità o la donna della vita, posseduta ma anche amata perdutamente. Il bicorno, con coccarda foderata di satin, rimarrà fieramente sul suo capo, anche quando riceverà un buco nella disfatta o accompagnerà il corpo morente in un esilio, voluto da chi, in un congresso, lo sanzionerà dal basso di una burocrazia parassitaria, come bruto e sanguinario.

Lui continuerà a divorare e gustare il buon cibo, perché lui non sbaglia mai: non certo alla luce di un’analisi postuma degli accadimenti, ma per merito delle istanze che li motivano. Anche la sconfitta non può essere intesa in quanto tale, visto che coerentemente non interrompe il flusso delle sue azioni per la Francia e dei suoi continui tentativi di lasciare un proprio erede. Le scartoffie da vergare sono semplici fogli in cui lasciare il suo nome, emblematicamente ridotto fino a coincidere con una sola lettera, sempre più a marchio indelebile della sua missione. L’insetto che troverà nell’ultimo pasto non passerà certo alla storia. Il pallino estratto dal corpo morto del suo cavallo bianco, invece, rimarrà il primo trofeo da dedicare alla madre “matriarca” della sua vita, che ha diretto il figlio per fargli “conquistare tutto, anche l’eternità”.

Le riprese del film di Ridley Scott, svolte essenzialmente in UK (ad esempio la cattedrale di Lincoln è usata per rendere quello di Notre-Dame, dove Napoleone si auto-incorona Imperatore dei francesi), si sono successivamente avvalse di location a Malta, dove il forte Ricasoli è stato usato per l’assedio di Tolone. E’ emblematico che, inizialmente, il titolo del film dovesse essere Kitbag, che deriva da un aforisma (“There is a general’s staff hidden in every soldier’s kit bag”) inventato da Napoleone stesso per indicare la giberna di un soldato.

La capacità di far apparire Napoleon un film crepuscolare, freddo, nebbioso, in sostanza autunnale, è tutto merito dell’immenso Dariusz Wolschi, direttore della fotografia di moltissimi film di Ridley Scott. Tra questi, non aveva ancora iniziato a collaborare con Ridley Scott nel lontano 1977, anno in cui il regista esordì alla regia con I duellanti, ed in cui iniziò, in maniera circolare, a rappresentare l’epopea napoleonica. Lì lo aveva fatto in maniera palpitante, qui in maniera sintetica (anche se ci sarà una versione estesa da vedere) ma non certo superficiale. Tutto torna. Il cinema puro la fa sempre da padrone. Da vedere e rivedere, come i precedenti capolavori.

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