La città spenta (Crime wave) (1953) di André De Toth

Di Matteo Bonanni

I titoli di testa sono presentati mentre la mdp è dentro l’autovettura dei tre protagonisti, una soggettiva ripetuta due volte, prima fino alla fine dei titoli e poi quando il film inizia.

Siamo ina una stazione di benzina, il noir come sempre parte dai luoghi: stazioni di benzina, bar, night club, case ovviamente, strade; parte dai luoghi dove si svolge la vita di questi personaggi. Questa atmosfera febbrile dettata dalla soggettiva iniziale si svilupperà, grazie alla mano attenta di De Toth, per tutto il film.

I tre protagonisti rapinano la stazione, un poliziotto di passaggio viene ucciso, uno dei tre viene ferito e va a casa di un ex compagno di cella, da due anni pulito e sposato. Da qui inizia la ricerca da parte della polizia dei tre e le disavventure del protagonista, che avrebbe voluto rimanere fuori da questa faccenda.

Tre evasi, una rapina, un ex criminale che vuole rifarsi una vita, un poliziotto rude e disilluso, la città vista di notte, lo stile febbrile della mdp, si diceva, e il noir è servito.

De Toth era uno specialista soprattutto del Western, ma in grado di girare qualsiasi genere. Ungherese di nascita, trasferitosi in America, come ci ricorda Venturelli nel suo illuminante saggio sul Noir americano, è con questo film che ha dato un piccolo-grande contributo al genere, facendosi amare anche dallo scrittore James Ellroy.

Il film non si inserisce nel filone documentaristico del genere, come per esempio era “La città nuda” di Dassin, ma rimane molto realistico, realistico per le immagini della città e per i dialoghi. I dialoghi tra banditi, quelli svolti al commissariato, il ruolo del tenente, tutto è reale e soprattutto credibile ancora oggi. E’ un film che ha un ritmo ed è diretto con piani sequenza, soggettive, zoom sui personaggi, in poco più di settanta minuti … Avercene oggi di registi così bravi a raccontare una storia in poco tempo, riuscendo a fare una radiografia del genere e a regalarci un ritratto criminale eccezionale.

L’azione inizia dal primo fotogramma e non ha cedimenti, è un ritmo forsennato: rapina, inseguimenti, interrogatori, corse in macchina, seconda rapina ed ultimo inseguimento. Non c’è scampo, anche se il finale è positivo per il protagonista.

I criminali sono tutti tratteggiati con realismo e ruvidezza, non avendo mai dei rimorsi. Appare anche un giovane Charles Bronson chiamato ad interpretare la parte di uno degli evasi. Tutti e sanno cosa devono fare, a parte il protagonista che viene risucchiato nel suo passato e non ha scampo, condannato solo a correre. Il tenente invece, un Hayden gigantesco in uno dei suoi grandi ruoli da duro, è un poliziotto disilluso, che non si fa scrupoli nell’usare la violenza, che sa come affrontare questi criminali e che alla fine dimostra un’umanità, forse, imprevista.

Oltre ai tempi della regia, va segnalata l’ottima fotografia di Bert Grennon, che riesce a cogliere bene gli spazi della città, ad inquadrare i personaggi, che hanno un destino in parte segnato. La colonna sonora interviene a dare intensità nei momenti più drammatici, come l’inseguimento finale.

Da uno schema semplice, da una trama lineare, quella tipica dei film crime, del noir, si può sviluppare grazie alla regia, e anche alle prove degli attori, un piccolo gioiello che brilla di luce propria nel vasto panorama del noir anni’ 50; questo perché “Crime Wave” ha una forza visiva che supera le ristrettezze del budget. Tutto è rapido, con la prima parte che si svolge interamente nella note che segue la  rapina; il flusso è continuo, come si diceva non ci sono momenti di tregua, e poi, nella parte di mezzo, c’è lo spazio per capire un minimo la storia di questi personaggi, ma ciò è una questione secondaria. Appare chiaro fin da subito cosa vogliano i personaggi, è l’azione che conta, è il destino segnato di molti di loro, è l’impronta della regia a brillare, aiutata dalle facce giuste dei protagonisti.

Nella parte finale, dopo la sparatoria ineluttabile e la morte degli ultimi due evasi, il tenente, sempre Hayden che rimarrà nella storia del crime anche per questo personaggio, blocca lo sventurato protagonista in fuga e alla fine lo lascia andare; è una scena eccezionale anche l’ultima, inaspettata eppure brillante, giusta se vogliamo.

Torniamo all’incipit, a quella soggettiva ripetuta due volte. Il destino dei tre protagonisti è segnato fin da subito e lo sappiamo, dobbiamo solo capire – nel noir non c’è scampo quasi mai – quale sarà esattamente la loro fine.  Il piano sequenza da dentro la macchina verrà ripetuto poi anche nella parte finale, lo stile del film è già enunciato e segnato nei titoli di testa, con quell’iniziale momento quasi da commedia: il benzinaio che parla del disco che sta ascoltando, quel sorriso ripetuto, viene subito ribaltato dalla violenza della rapina, dalla sparatoria successiva, dal ritmo che incalza, non ci sarà scampo per gli evasi , non ci sarà tregua per il protagonista e gli spettatori, e l’azione sarà formidabile.

Crime Wave è un gioiello assoluto del noir anni’ 50 da vedere e rivedere.

Gene NelsonGene Nelson

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