Crimine silenzioso (The Lineup) (1958) di Don Siegel

Di Matteo Bonanni

Il film inizia in modo folgorante, cinquanta secondi improvvisi di cinema puro, veloce, quasi a spiazzare lo spettatore, che andrebbero rivisti per capirne la complessità. Un uomo sceso da una nave aspetta un taxi, un vetturino gli ruba la valigia e la mette nel bagagliaio di un taxi che corre all’impazzata investendo un poliziotto che, cadendo, riesce comunque sparare e uccidere il conducente. Sul luogo del delitto arrivano due investigatori. Iniziano le indagini.

La trama in breve:

A San Francisco arrivano due sicari incaricati di recuperare tre pacchi di eroina, contrabbandati dentro il bagaglio di ignari passeggeri. Sono braccati da una coppia di poliziotti.

Siamo nel 1958 e il film è ambientato a San Francisco: due aspetti importanti. Nel 1958 il noir è un genere giunto al suo capolinea, seppellito quell’anno da Welles con “Touch of evil”, anche se Siegel – uno specialista del genere e dei generi – dimostra di avere idee diverse sulla fine del noir (e ne scriveremo). San Francisco anche è importante, visto che nello stesso anno “Vertigo” di Hitchcock è girato proprio a San Francisco e sappiamo come questa città e quel film abbiano segnato il neo-noir. In linea con questi precedenti, anche qui la città riveste un posto centrale nello svolgimento e nella comprensione del film. Con i suoi saliscendi e la sua architettura oltre che natura sociale (oggi totalmente trasformata), è una città che può offrire molti spunti di partenza anche all’interno di un cinema di genere.

Il protagonista, Dancer (Eli Wallach), è un sicario anomalo, e sembra anticipare le idiosincrasie del neo-noir (penso al magnifico protagonista di “Point blank”); è un killer antisociale dai metodi maniacali, con appresso anche un mentore teorico (Julian).

Come sappiamo nel film si ribellerà al suo destino, ingabbiato dalla società, dalla polizia e dal suo dispotico capo, oltre che controllato dal sodale-mentore. Nel film non fa altro che correre, uscire ed entrare dai luoghi della città, da case, da edifici pubblici, fino alla mirabolante corsa finale che a detta di Siegel, è la migliore scena di inseguimento mai girata fino a quel momento, e non a torto.

Il sicario è schiacciato in un destino da cui non può sfuggire, ma fa di tutto per riuscirci. Il suo ruolo è fittizio, impersonificando dei personaggi (come gli attori) si cela dietro una falsa identità in un film dove tutto è una camuffamento: dagli oggetti che non sono quello che sembrano fino ai personaggi che vanno scoperti e svelati passo dopo passo per capirne la vera essenza.

Siegel riesce a ragionare sull’uomo moderno, sulla società di fine anni’ 50, senza mai fermare la trama noir, facendo assumere al tempo e allo spazio un ruolo centrale; il tempo diegetico a volte coincide con quello reale, in altri casi viene contratto e lo spazio della città viene svelato e mostrato soprattutto nell’atto di inquadrare la borghesia alle prese con la violenza sfrenata di questo killer e dell’organizzazione. Gli sventurati passeggeri che si ritrovano nei loro bagagli l’eroina appartengono tutti alla medio-alta borghesia e di fatti i camuffamenti di Dancer-Mr. Evans sono tutti atti a poter entrare in contatto con loro senza destare sospetti.

Il regista entra così nelle loro case, mostrate nella loro magnificenza, le perlustra e scruta tutto.

Un aspetto importante è il subdolo rapporto che hanno i due killer: uno esegue e l’altro manipola, insegnandogli addirittura la grammatica e riprendendolo. Verso la fine capiamo come il protagonista abbia raggiunto una saturazione verso questo rapporto. Quando nel cercare di spiegare la situazione al capo dell’organizzazione (The man) scopre la sua identità, fin a quel momento ignota, per questo atto di curiosità “The man” lo condanna a morte, tutto il simulacro di questa organizzazione, di questa società alternativa crolla; così Dancer non può far altro che ribellarsi a tutto e tutti in una corsa verso il suo destino, già segnato. Il finale del resto riprende circolarmente l’inizio anche per velocità e forza delle immagini.

Siegel quindi non abbandona il noir, e anticipa di un decennio il neo-noir, e lo fa in senso registico, nelle caratterizzazioni di questi personaggi, nell’esplorare i personaggi, nel giocare al camuffamento di tutto e tutti, nello svelare una società che cerca invano di proteggersi dalla violenza, quando questa dilaga e non ha possibilità di essere fermata.

I due detective sono sempre indietro, non riescono a seguire le gesta dei due killer che si spostano per la città (movimento che Mann riprenderà per “Collateral”, ambientato però ad LA),  anticipando i movimenti della polizia; e se non fosse per quel gioco del destino (per la ragazzina che usa l’eroina come cipria), Dancer e socio sparirebbero nel nulla. Loro arrivano in aereo da un altro luogo, mai così a loro agio (anche se Dancer fin dall’inizio sa che non sarà facile), nella città in cui eseguono il loro lavoro.

In un’interessante interpretazione letta su “il cinema di Don Siegel” monografia del 2011, l’autore interpreta il personaggio di Dancer come un alter-ego  dello stesso Siegel; uno combatte contro società e padri distopici (Julian e The Man), l’altro (Siegel) combatte contro la produzione e i suoi diktat che spesso l’hanno ridotto con miseri budget.

Siegel con questo film anticipa il neo-noir e combatte contro la fine del genere, genere su cui tornerà a metà anni ’60 e poi nel 1971 girerà di nuovo a San Francisco per “Dirty Harry” e cambierà ancora una volta il volto del genere.

Un film eccezionale “The Lineup” in anticipo sui tempi, diretto in maniera egregia da Siegel, fotografato benissimo e interpretato da attori molto bravi (su tutti Wallach)

Nota a margine, una frase del film venne poi rielaborata da Dylan:

“When you live outside the law, you have to eliminate dishonesty,”

e inserita in “Absolutely Sweet Marie”

“as To live outside the law you must be honest.”

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