Bronco Billy (1980) di Clint Eastwood

 

 

La trama in breve:

Bronco Billy è un cowboy moderno, che organizza il Wild West Show, uno spettacolo itinerante. Antoinette Lilly e John Arlington si uniscono in un matrimonio d’interesse. Le loro strade si mischieranno in maniera sorprendente.

 

Settimo film diretto da Clint Eastwood, primo di un decennio che inizierà a consacrarlo come regista/autore.

In questa commedia, a tratti romantica, ci sono tanti temi che ricorrono nel cinema del nostro. Ancora una volta centrale risulta la demitizzazione dell’eroe, del cowboy duro, del macho. Questa tematica va avanti e, anzi, arriva quasi a totale compimento.

Bronco fa a cazzotti, come Philo Beddoe in “Filo da torcere”, ma nel momento clou, quando il film potrebbe diventare un inno deteriore, un inno alla violenza, Bronco decide di non alzare le mani, di non prendere la pistola; ecco lo scatto decisivo nel cinema del buon Clint. Questo aspetto tornerà ancora e ancora, a ricordare le tante anime del regista di San Francisco.

Ci si diverte per i personaggi stralunati, per l’incontro – scontro tra due mondi, West ed East, New York e Idaho. Ci si diverte per le scaramucce sentimentali di un uomo che ha portato avanti la sua idea di amore per tutta la sua carriera, forse un po’ da macho ma con, però,  personaggi femminili da ricordare; qui ancora una volta interpretati dall’amata Sandra Locke, che era già stata importante in “L’uomo nel mirino”, il film poliziesco sopra le righe diretto tre anni prima sempre da Eastwood.

C’è sicuramente il ricordo di un mondo forse più semplice, del ritorno alla natura, una certa ingenuità poetica di fondo, ma l’aspetto centrale del film sta proprio nell’evoluzione dei personaggi e nella figura centrale di Bronco Billy, padre di tutti i componenti dello show.

I protagonisti sono un gruppo di perdenti, che con lo show, nonostante l’estrema povertà, hanno trovato un riscatto, una redenzione dai propri errori. Appartengono a questo gruppo alcuni reduci dal carcere, molti disertori. Si configura una vera e propria fuga da quella realtà che li aveva calpestati; è una sorta di evasione, come del resto simbolicamente lo è il cinema in molti casi.

Una commedia semplice, alla stregua di “Filo da torcere”, che, seppur non diretta da Eastwood, fa pienamente parte dell’evoluzione del suo personaggio e del suo cinema, come quasi tutto quello che ha interpretato, diretto e prodotto dal 1968 in poi.

Una commedia piena di poesia e di semplicità ma non solo; come spesso accade nel cinema di Eastwood, la sua regia osa e si insinua nel testo: la scena del tentato stupro è di grande forza come lo sono i momenti dello show e soprattutto il possibile duello rusticano con lo sceriffo, sventato da Bronco.

Facendo un passo al lato della storia e della trama, possiamo notare che Clint continua il suo percorso cinematografico, che a volte sembra anacronistico ma mantiene il filo rosso di una  poetica ben precisa, che si sostanzia nella continua rilettura dei generi, del classicismo, del ruolo dell’eroe; e che vive nella contaminazione di un cinema, classico, con influenze varie, nell’ambito registico e finanche tematico.

Gli anni Ottanta saranno, forse, ancora più discontinui del precedente decennio, ma Eastwood proseguirà nel suo cammino, dentro la sua America con amore per delle idee e con la voglia di raccontare con realismo i cambiamenti di una Nazione, adattando, cambiando e portando avanti il suo discorso narrativo.

Come per altri film di Eastwood, la recitazione a volte sembra uscire dai ranghi, con momenti lunatici da parte dei suoi protagonisti. Ma quando la storia sembra vacillare, la regia rimane salda, e così anche la prova attoriale del protagonista.

Bronco è dunque un fratello più maturo e diverso di Phil Bedooe, è in parte la sua prosecuzione; così viene creato un personaggio che può essere considerato la terza maschera di Eastwood, che fa capolino nella lunga carriera dell’attore regista. Dopo il pistolero col sigaro e il poliziotto burbero e duro, appare questo nuovo personaggio.  Un ennesimo turning point per la carriera registica arriverà due anni dopo con “Honkytonk Man”.

Una bella commedia intrisa anche di malinconia ma soprattutto di quella sana voglia di riscatto di cui il cinema di Eastwood è ricco, di quel non retorico grido di forza verso il sistema che vuole umiliare e annichilire l’uomo. E questa l’idea di fondo del regista, che poi si farà sempre più complessa, articolata con film che andranno a minare le poche certezze costruite e che riveleranno altri aspetti della visione del regista.

Un gioiellino da riscoprire e da vedere assolutamente, per gli amanti di questo straordinario e unico “Uomo di Cinema” a tutto tondo.

 

Precedente Black Panthers (1968) di Agnés Varda Successivo Bronx 41º distretto di polizia (Fort Apache, The Bronx) (1981) di Daniel Petrie