Scarface (1983) di Brian De Palma

Di Matteo Bonanni

Per Cuba la migrazione è un problema e lo è da decenni. Dopo una spiegazione del perché nel 1980 ci fu una migrazione massiccia, di criminali, da Cuba agli Usa, ci ritroviamo in un interrogatorio e conosciamo il protagonista.

La telecamera segue il futuro protagonista del film, Tony Montana, e ci fa ascoltare le sue parole per camuffare la sua identità. “Dove hai imparato l’inglese?” Chiede un poliziotto; lui risponde: “Dai film, da Bogart e Cagney”. La mdp gira intorno ai protagonisti, è un piano sequenza degno del miglior De Palma (o Hitchcock se preferite). Capiamo subito che saremo catapultati in un mondo cinematografico, la realtà dell’originale (gli anni del proibizionismo) è lontana, la realtà degli anni’ 80 permea la pellicola ma non è il punto saliente, Tony Montana nasce e si esaurisce nel Cinema e nel film.

La trama in breve:

Tony Montana, profugo cubano negli Stati Uniti, scala i vertici della malavita con crudeltà e determinazione. Diventa il re del narcotraffico, spalleggiato dall’amico Manny. Dopo aver ucciso anche il suo boss, Lopez, ne sposa la donna, Elvira. Raggiunto l’apice, iniziano però per Tony i guai: personalità instabile, il nuovo boss offende l’importante alleato boliviano, Sosa. Il rapporto con Elvira naufraga e per di più la sorella Gina, di cui è morbosamente innamorato, va a sposare proprio Manny.

È interessante pensare che questo film l’avrebbe dovuto dirigere il grande Lumet, con la sua impostazione politica ed ideale; ed in effetti sarebbe stato un successo alla stregua de “Il principe della città”. Però Scarface è un’altra storia, e Stone ne fa un’opera eccessiva, come poche altre anche per un decennio strabordante, magniloquente eppure così fecondo come gli anni’ 80. Alla base c’è l’originale di Hawks e Hecht (miti tutelari del cinema tutto) ma qui siamo catapultati nell’ascesa e poi rovinosa caduta di un criminale, un grande sogno/incubo americano

Stone infarcisce la storia di tutto quello che più gli piace: gli eccessi degli anni ’80, la droga, e anche ovviamente la politica. Si pensi alla scene iniziali nel campo dei cubani confinati sotto un’cavalcavia e alla rivolta per aiutare l’omicidio; una scena di guerriglia iniziata con un movimento di macchina che parte da sopra  per poi seguire l’omicidio. De Palma invece ne fa un film sulla visione e sul Cinema: “gli occhi non mentono” dice Tony all’amico Manny.

I due protagonisti si ritrovano a fare i camerieri (altro che sogno americano!), e per farlo hanno dovuto uccidere, certo un comunista, è vero, e Tony lo fa per “divertimento”. A fare i camerieri in un posto chiamato “el paradiso”.

Il film accumula e accumula momenti debordanti; del resto quando si sceglie “Il padrino” per fare un criminale non hai tante scelte … E allora Al Pacino gioca un gioco che pochi altri potevano giocare, Cagney è nella mente certo con la sua irruenza, il La Motta di De Niro (il grande rivale), forse Jack Torrence di Nicholson …  Ma non basta, lui va oltre, è una maschera dietro la quale si può celare tutto e niente allo stesso tempo: il populismo dell’uomo venuto dalla strada, l’arrivismo e la cattiveria (qui criminale), la voglia di soldi facili, di potere, di donne, di macchine, tutto quello che l’America anni ’80 e il capitalismo spregiudicato e senza etica induce a ricercare, altro che la felicità…

John A. Alonzo alla fotografia fa saturare sempre di più colori che diventano più eccessivi e barocchi com’è la regia di De Palma (si pensi ai piani sequenza che mostrano gli omicidi nel motel), Moroder segna il ritmo con una colonna sonora epocale.

Tony si aggira in questa città fantasma, non c’è polizia (se non corrotta), non c’è la luce, ci sono sfondi e paesaggi cinematografici (i tanti cartonati che richiamo alla città stessa, Miami); nessuno si stupisce di tre colombiani morti in un motel (uno scannatoio), la realtà ha superato la finzione. Il personaggio diventa sempre più eccessivo, smisurato, mostruoso, la droga si accumula, come anche il suo potere e il suo fascino di costrutto meramente cinematografico.

Quando il film insegue la società, l’omicidio politico, forse, si perde, vuole fare “il padrino” ma non è il suo, non è De palma e tanto meno Stone. Qui siamo nella favola/incubo cinematografico, e allora la violenza aumenta, il sangue schizza, i soldi si fanno a palate.

Vedere nel 2024 Scarface è un ritorno anche ad un altro mondo, oggi un personaggio così scorretto, misogino, misantropo, omofobo ecc.… non lo potremmo vedere. Montana è l’espressione massima di un maschio tossico, spinto da un desiderio carnale verso la bella sorella (la scena finale lo sancisce in maniera spudorata), vuole il controllo di tutto e soprattutto delle donne che devono far cornice, anche se Elvira non è un personaggio così monolitico come non lo è la sorella.

Le immagini imponenti, la prova inarrivabile di Pacino, l’intero cast, tutte le componenti tecniche fanno di “Scarface” un film irripetibile, tragicamente monumentale; un monumento, si intende, ad un cinema che non c’è più, che a sua volta mitizzava (anche con la parodia) un cinema precedente di ben altra leva e linearità. La struttura del film del resto è classica: tre atti, l’ascesa e la caduta, senza la morale sul cattivo che anzi è vittima di sé stesso e di una propaganda capitalistica senza possibilità di ritorno. Nel suo immaginario non c’è altro che il successo e alla fine neanche quello, forse solo l’onnipotenza e l’immortalità ma tutti devono morire.

De Palma l’anno dopo realizzerà uno dei suoi film più belli e teorici, mentre qui sublima, ingigantisce e porta al confine massimo il genere gangster. Non ci sarà più nulla di simile, è il film eccessivo per eccellenza tanto ridondante quanto magnifico e tutto quello che è entrato nella cultura di tutti i giorni ha in realtà più facce di quello che molti ingenuamente pensano (i meme, le frasi, le facce, che i ragazzini citano a memoria da decenni).

Insomma in parole povere, questa è la contro parabola, e definitiva, della fine del sogno americano, di un sogno americano imbevuto di sangue, marcio, e chi se non De Palma poteva raccontarlo con tanta forza. La sua idea iniziale era ancora più forte, eccessiva, più rossa, più sanguinolenta.

“Scarface” visto o ri-visto al cinema è un’esperienza culturale, visiva, emozionale, come poche altre; e anche l’inusitata sotto trama “amorosa” ha legittimità nel descrivere il personaggio e alla fine, francamente, pur nella sua spregiudicata nefandezza, si parteggia per lui contro i colombiani, con lui e il suo strano senso etico (“i bambini non li ammazzo”), con lui personaggio cinematografico totale, definitivo, nato, morto e risorto nella pellicola … E allora non ci può essere alla fine altro se non una delle morti più emblematiche della storia del cinema.

Magnifico!

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