Behind the Mask: The Rise of Leslie Vernon (2006) di Scott Glosserman

Behind the Mask: The Rise of Leslie Vernon (in italiano con stavolta il riuscito sottotitolo di “Vita di un serial killer”) di Scott Glosserman ha il grande merito di ribaltare in senso umoristico il sottogenere horror denominato slasher in un impianto metafilmico, parlandoci in maniera non banale del linguaggio cinematografico tout court.

Il film slasher, si sa, è composto già di suo da molti elementi interessanti, come l’omicida mascherato, l’arma da taglio che deve ferire (“to slash”) e il sesso adolescenziale da punire o premiare a seconda dei casi. Il regista statunitense Glosserman (che dopo questo film dirigerà il documentario Truth in numbers? Everything, accordind to Wikipedia, sul fenomeno wikipedia) ha il merito di usare questo mondo già di per sé articolato, in un film composto essenzialmente da due parti: la prima consiste in un mockumentary (fare il verso al documentario) su una “vicenda” slasher e la seconda si trasforma in un “vero” film slasher. Questa operazione cinematografica è genialmente condita con un assunto di grande valenza ironica: se tutti i più famosi serial killer cinematografici fossero in realtà comuni assassini seriali realmente esistiti?

Il plot si incentra sulla giornalista Taylor Gentry e due cameramen che documentano nel comune di Glen Echo le gesta di un aspirante serial killer che prende l’identità dello spirito vendicativo del leggendario Leslie Vernon: questo eroe orrorifico ha sterminato la propria famiglia e poi è stato gettato in un fiume dai concittadini. Il primo colpo di scena rivela che il vero cognome dell’aspirante serial killer è Mancuso e le armi non sono poteri soprannaturali ma tattiche faticosamente acquisite a prezzo di preparazione fisica e comportamentale, grazie anche al maestro Eugene: un assassino andato in pensione a causa della popolarità di Michael Myers, Jason Voorhees e Freddy Krueger, sposato all’unica vittima riuscita a scappargli. Leslie racconta alla telecamera la scelta della sua final girl (la ragazza vergine che si dovrà confrontare con il killer), i trucchi e i preparativi (Pianificazione. Preparazione. Esecuzione) per il redde rationem ricco di terrore e sangue. La notte fatidica, dopo i primi omicidi, vede un cambio di registro cinematografico e lo stile documentario si trasforma in horror puro, quando la troupe inizia a rendersi conto dello sbaglio e decide di mettere in guardia i ragazzi sul folle piano di Leslie. In particolare Taylor si accorgerà di essere al centro della vicenda e gli spettatori, nella terza parte del film, scopriranno, grazie ad una telecamera di sicurezza posta in una sala di autopsia, la regola d’oro adottata da ogni serial killer: saper fingere la morte.

Il personaggio di Leslie Vernon non solo si ispira alle figure horror leggendarie, menzionandole come realmente esistite, ma all’interno di Behind the Musk sono presenti alcuni attori icone del genere slasher, come Robert Englund, reso celebre per il personaggio di Freddy Krueger, che interpreta il dottor Halloran, lo psichiatra ossessionato da Leslie, puro omaggio al dr. Loomis interpretato da Donald Pleasence; oppure Zelda Rubistein che aveva interpretato la medium in Poltergeist; o ancora Kane Hodder, noto per il personaggio di Jason Voorhees nella saga Venerdì 13, che nel film transita per “Elm Street”, reagisce con fastidio alle domande e rientra in casa al numero 1428, la stessa in cui visse Nancy in A nightmare on Elm Street. Ci sono altri riferimenti al genere, ad esempio il nome della moglie del “maestro” Eugene è Jamie, riferimento all’attrice Jamie Lee Curtis della saga Halloween, oppure un posto chiamato Red Rabbit Pub, riferendosi anch’esso ad Halloween, o ancora un trio di ragazze che giocano al salto della corda, cenno a Craven.

Behind the Musk esce nelle sale statunitensi nel 2006, ma, pur raccogliendo premi nei festival di Sitges e Fant-Asia, resiste solo una settimana, essendo un film indipendente low-budget che non regge alla competizione con altri film. Sarà poi distribuito per il mercato dell’home video, disponibile in dvd nel 2009. Ha avuto molti progetti per il sequel del film, avendo poi con il titolo Before the Mask: the return of Leslie Vernon una versione fumettistica grazie a David Stieve, lo sceneggiatore del film diretto da Glosserman.

Nel momento in cui si passa dalla prima fase, caratterizzata dall’umorismo oscuro, dall’essere guida slasher e in cui la troupe segue i preparativi di Leslie con tanto di camera-in-spalla, stile Il cameramen e l’assassino, alla seconda fase, contraddistinta da un’atmosfera più tradizionalmente horror, la fotografia di Jaron Presant si adatta al cambiamento, passando da frenetici colpi di mano a scatti morbidi con colori più intensi. Anche la recitazione cambia il suo registro, con Taylor, interpretata dall’esperta Angela Goethals di Mamma ho perso l’aereo e Jerry Maguire, che diventa personaggio variegato, con il quasi esordiente Nathan Baesel che trasforma Leslie da antieroe simpatico a cattivo spaventoso e infine con una Kelly (Kate Miner), bionda teenager che da pudica e virginale si trasforma in ragazza frizzante e sessualmente attiva che copula come una porno star, senza certo alcuna supplica del suo ragazzo per portar via l’innocenza.

L’ironia di fondo che aleggia in Behind the mask è diretta soprattutto allo spettatore, in genere amante e conoscitore del genere horror. E’ un continuo gioco con i clichés del sottogenere slasher, visti dal punto di vista di un omicida che non agisce mosso dalla follia, ma grazie ad una pianificazione talmente precisa da spingere le vittime a comportarsi nel modo che più a lui aggrada. Per questo Leslie organizza uno spavento fly-by fuori il ristorante dove lavora Kelly, la final girl scelta; prepara la strategia di red herring tentando di uccidere la vecchia bibliotecaria di Glen Echo, scelta come colei che abbia un contatto marginale con la final girl, ma che poi farà intervenire l’Ahab Halloran, ovvero la figura buona che si contrapponga al serial killer; per lo stesso motivo spranga le finestre, sabota la scatola di alimentazione dell’elettricità, sostituisce le batterie delle torce mettendo quelle scariche, rende inoffensive le armi che prenderanno le vittime, taglia i rami degli alberi vicini alle finestre dove si getteranno, sceglie l’edificio della casa colonica luogo della festa adolescenziale dissoluta, dove ci sarà lo scontro finale con un torchio dove si schiacciano le mele; si dipinge la faccia tecnicamente per sanguinare meno con un rituale da attore teatrale; uccide due bambini che hanno la sfortuna di stare nel posto sbagliato, dando soddisfazione agli amanti dello splatter (in realtà poco sollecitati in questo film), lavorando di falce e scavatrice.

Mi piace considerare, anche a costo di essere smentito dai fan dell’horror,  Behind the musk di Glosserman come il film che meglio ripeta la magia di Scream di Craven nel suo cimentarsi con l’autoreferenzialità dell’horror slasher. Ha inoltre il pregio di toccare il tema dei media e della loro etica, nel riflettere sul ruolo da assumere nei confronti dell’assassinio. Bisogna raccogliere la storia con ogni mezzo possibile? Oppure occorre lasciare la telecamera per aiutare le vittime?

 

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