Piove (2022) di Paolo Strippoli

Inizio dalla fine. Cosa vuol dire girare un film horror nel 2022 e in Italia?

La trama in breve:
Roma è sommersa dalla pioggia. Le fogne tracimano, i tombini saltano. Incappucciati e zuppi vagano per la città Thomas e la sua famiglia. Lui, il padre, francese da tanti anni in Italia che si destreggia tra diversi lavori per tenere in piedi la famiglia; Enrico, il figlio, adolescente tutto silenzi e frasi come lame; Barbara, la figlia, bambina di sorrisi e affetto dal suo trono che è la sedia a rotelle. Non ha una moglie e una madre questa famiglia. Si sta rompendo, la vita di Thomas e dei suoi. Come si stanno rompendo le vite degli altri, amici, vicini, sconosciuti. Dalle fogne e dagli scarichi viene fuori una nebbia che ti entra in corpo e ti fa uscire fuori tutto il male che hai accumulato dentro. Il male che tutti hanno.

Il film inizia con delle immagini in sequenza che ci raccontano di come la violenza, l’odio e il rancore facciano parte della storia dell’umanità fin dal suo inizio; le immagini iniziali, devo dire, forse sono le meno forti, adeguate, le meno “riuscite” del film anche sotto il livello fotografico, che invece dal titolo in poi sarà eccelso.

L’horror ha seguito negli ultimi cinquant’anni tanti percorsi, ma alcuni codici, climax e aspetti di scrittura, tecnici si sono consolidati come una base da cui ogni regista può partire se è in grado. Il giovane Strippoli alla sua prima opera come regista in solitaria, riesce ad inserire in un contesto di una Roma spettrale, dove piove sempre (all’opposto del coevo ed apocalittico “Siccità” di Virzì), una trama dove il genere è sicuramente la cornice, mentre il dramma dei protagonisti è il centro destinato a vibrare.

Quindi si può realizzare un horror credibile in Italia, ancora oggi? Piove non è certo l’unico film di questi anni ad aver dato uno slancio al “genere” nel nostro panorama, ma è forse uno dei risultati più alti degli ultimi tempi in quanto al versante Horror.

Fin da subito capiamo che il livello del film è alto, a cominciare dalla fotografia che ritrae una Roma sconosciuta, poco vista; anche la prima scena, ambientata in un quartiere spesso ripreso come San Lorenzo, è oscura ed eccellente. Allo stesso modo lo sono le prove degli attori, altro aspetto complesso da riscontrare nei “nostri” film di genere. Infine l’ultimo aspetto, ovvero una scrittura che riesce a dare spazio all’horror, alle scene violente (addirittura da censurare con un VM 18), senza dimenticare di approfondire i caratteri dei protagonisti.

L’odio divampa nella città, è sì un odio sociale, solo in piccolissima parte, quasi insignificante, ma soprattutto è un odio/rancore che pervade le vite di persone, che sembrano non riuscire più a dare un senso alla propria esistenza. Il padre, protagonista, vive ormai una vita di sacrifici senza più l’amore della moglie; suo figlio non crede più a nulla, e passa la sua vita pieno di paura a fare lo spaccone e a scopare con una prostituta che ha assunto anche il ruolo materno; e tanti altri sono i personaggi che incontriamo, e che non sembrano più avere un profilo delineato, quasi da sembrare spettri, anzi lo diventeranno nel film.

Le immagini violente, durante l’escalation di questo odio che si diffonde, hanno un’indubbia forza visiva, anche se nel finale si può notare come le forze produttive in campo siano distanti anni luce dal cinema “grande” americano e non solo, quando il ritmo si fa sempre più alto, come in ogni buon horror che si rispetti.

Un horror dell’anima, di anime anzi ormai esautorate, di persone allo sbando, in una città dove piove sempre; oltre al racconto del padre è interessante il ritratto del giovane protagonista, così inquieto, così spaesato, violento, rabbioso, senza alcuna speranza, pieno di quel nichilismo che molti hanno vissuto.
All’inizio c’è Sergio Endrigo che canta, che ci racconta e ci anticipa la drammaticità della trama a venire.

Un horror dove il corpo, la mente e l’anima vengono toccati, dove il regista non si fa scrupoli nello schiacciare facce, nel trafiggere corpi ed occhi, dove la violenza è esplicita ma mai ostentata, sempre inserita nella sua cornice, nel suo contesto. E’ il subconscio a dominare le angosce, le ansie e le vite dei protagonisti; e su tutto domina questo fumo bianco che evapora e assorbe tutta la città, riuscendo a tramutare in odio, in violenza sfrenata.

Girare un horror di questo tipo nel 2022 in Italia, dove il genere non riesce ancora a tornare neanche lontanamente ai suoi fasti, vuol dire osare, avere coraggio, vuol dire aver appreso la lezione di tanti maestri del genere; unendo così l’aspetto dello spavento, l’aspetto fisico-body dell’horror ad uno sviluppo verosimile e riuscito di una serie di personaggi immessi in un momento storico ben preciso.

La società infine viene mostrata attraverso questi sentimenti dei protagonisti, questi personaggi così sviliti in tutti i modi. Nonostante tutto il film riesce nel finale ad intravedere una speranza, una possibilità, direi una forza indistruttibile; il finale ha una forza e una “giustezza” in sé che riesce a donare al film una chiusura convincente.

Da ricordare anche l’importanza della colonna sonora, se all’inizio siamo accolti dalla stupenda voce di Sergio Endrigo, poi la colonna sonora segue la diegesi in modo impeccabile e il momento dedicato alle scorribande del figlio è segnato dall’uso del rap italiano che ci racconta molto del personaggio in sé ma anche della sua generazione, dei loro umore e di quel rancore che il film fa emergere con prepotenza.

In chiusura, c’è da sperare che questo “cinema” proliferi, che il genere riprenda ad analizzare la società a modo suo, ovvero in tanti modi diversi, rimanendo coerente alla sua forza visiva e di spaesamento per lo spettatore.

È una vita impossibile
Questa vita insieme a te
Tu non ridi, non piangi
Non parli più
E non sai dirmi perché
Lungo la strada del nostro amore
Ho già inventato
Mille parole nuove
Per i tuoi occhi
Più di mille canzoni nuove
Che tu non canti mai
(Sergio Endrigo)

 

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