Victoria (2015) di Sebastian Schipper

Di Marco Chieffa

Esattamente alle ore 4:30 del 27 aprile 2014, all’interno della mente del regista tedesco Sebastian Schipper, nel momento in cui dirige il film Victoria, frullavano probabilmente due convinzioni.

La prima è quella di fare un film su una rapina in banca, consegnandolo di fatto all’interno del macrogenere neo-noir. Ma non si è fermato qui. Nella seconda convinzione, ovvero quella di girare ininterrottamente il film in un’unica ripresa mobile, facendo così coincidere il tempo diegetico con quello filmico, il film Victoria, parafrasando Francis Ford Coppola in Apocalypse now (“non è un film sul Vietnam, è il Vietnam”), è una rapina in banca.

A parte la scena in discoteca, dentro il bar e in quella discutibile e poco verosimile in albergo, il cameraman norvegese Sturla Brandth Grøvlen riprende la Berlino notturna, in particolare scandagliando i quartieri di Mitte e Kreuzberg. Del resto il rapporto fisico con le città è una componente importante nel neo-noir, vista in questo caso dall’alto di un tetto, vissuto come cantuccio dell’anima dei protagonisti, o schiacciata in strade teatro di inseguimenti vissuti al di dentro dei nostri eroi.

Chi sono questi? In particolare la camera segue ininterrottamente, con luce naturale e primi piani traballanti a mano libera, la disillusa spagnola Victoria, interpretata da Laia Costa, la cui bellezza da modella, consacrata dal successo nella serie tv Braccialetti rossi nella originaria versione spagnola, è tramutata da Schipper in un’interpretazione di un realismo sudato, sgraziato e spesso macchiato di saliva. Victoria, dopo l’esperienza esistenziale disastrosa di pianista in conservatorio, cerca emozioni forti a Berlino, dove vive da pochi mesi senza aver conosciuto nessuno, lavorando in un bar, che è costretta ad aprire ogni mattina esattamente alle 7. L’altro personaggio, quasi sempre ripreso nel film, è quello di Sonne, dal viso simile a Marlon Brando, uno dei quattro berlinesi “puri” che la giovane incontra. Assieme agli amici del cuore Boxer, Fuss e Blink, risultano essere i chiassosi ragazzi costretti, loro malgrado, a causa di un debito contratto in carcere con un protettore, a divenire una banda di criminali, arruolando, in questa impresa disperante, annebbiata da alcol e droga, come guidatrice Victoria, che da complice fortuita si trasformerà in convincente collante motivazionale.

In realtà il thriller “one-take”come noi lo conosciamo, ovvero questa lunga acrobazia tecnica, questo esperimento compiaciuto, travolgente e purista, è stato il terzo tentativo di one-take; il primo non è riuscito, in quanto troppo frenato, con gli attori poco disinibiti, come se ognuno avesse paura di rovinare l’impresa, simile ad una partita di calcio che finisce 0-0; anche il secondo tentativo era fallito stavolta perché eccessivamente dissennato. Da notare che, prima ancora, Schipper era stato costretto a girare una disastrosa versione jumpcut come piano B, per tranquillizzare la produzione ed avere così i soldi e il tempo per fare l’ultimo tentativo, che fortunatamente è stato quello decisivo. Quello cioè che, a partire dalle 4:30, ha permesso di girare ininterrottamente per oltre due ore in 22 location, con 150 comparse, 6 assistenti alla regia e 3 troupe del suono, senza mai far intravedere la coreografia fuori campo.

Emozionante l’incipit, con Victoria che balla da sola tra i corpi ribollenti e stroboscopici di un club techno sotterraneo nel centro di Berlino. All’uscita da questo bailamme, con la giovane già disinibita e apparentemente disarmata, ci sarà l’incontro con i quattro che diventeranno gli amici appena conosciuti ma con cui riconoscersi e condividere la vita, anche solo per poche tragiche ma significative ore. Liberatoria invece è stata la scena post rapina in banca, sempre in discoteca, dove tutti e cinque risultano eccitati per quello che avevano appena fatto, con movimenti a volte robotici, altri da trance grotowskiana, esibendo dal di dentro emozioni sincere.

Interessante l’uso della musica,sia quando a volte la colonna sonora elettronica del compositore berlinese Nils Frahm soffoca i dialoghi in alcuni punti, sia quando, nel ritorno nella discoteca, i rilassanti pezzi elettro-orchestrali purificano efficacemente i palpitanti ritmi dance, che scorrono come potenti endorfine.

Molto cinefilo il confronto del film Victoria con i suoi antecedenti che hanno avuto un unico piano sequenza. A cominciare da Rope di Hitchcock, dove però la continuità spaziale e temporale è, come sappiamo, solo apparente, poiché deriva dalla successione di otto long take i cui stacchi, inevitabili a causa dell’esaurirsi della pellicola, vengono mascherati con precisi movimenti di macchina. Per continuare con Russian Ark di Sokurov, nel suo ininterrotto  viaggio nel Palazzo d’inverno di San Pietroburgo, e con Birdman di Iñárritu, anche qui in un simulato piano sequenza, in realtà interrotto da uno stacco temporale. Per quanto riguarda l’atmosfera, più consoni risultano i rimandi con Irreversible di Gaspar Noe e con Lola Rennt di Tom Tykwer, in cui compare come attore Schipper stesso. Per l’attore, regista e sceneggiatore di Hannover, quello di Victoria è per la precisione il suo quarto lungometraggio.

Già nel suo esordio del 1999, Absolute Giganten, commedia prodotta da Tom Tykwer e  imperniata su un gruppo di giovani tedeschi che reagisce alla prospettiva che uno di loro li abbandoni per sempre, risuona la vicenda di Victoria, oltre a coinvolgere allo stesso modo alcol e motori.

Anche nel secondo del 2006, intitolato Ein Freund von mir, ci sono in fieri molti elementi che ritroveremo nel nostro Victoria. In questo Jules et Jim tedesco, incentrato su un ménage à trois, ritroviamo l’amore per l’automobile, ripresa con pirotecnici movimenti di macchina da presa (quando ancora l’automotive era centrale in Europa), lo scambio dei vestiti, come per Victoria e Sonne quando usano abiti colorati per sfuggire all’accerchiamento della polizia. Ma soprattutto Ein Freund von mir, essendo girato a Berlino, Düsseldorf, Amburgo e Barcellona (quasi come se fosse l’antecedente di Victoria prima di lasciare la Spagna), gioca sulle varie lingue che parlano i personaggi, qualche volta per non farsi comprendere dal terzo ascoltatore. Del resto sappiamo che Victoria dovesse essere il film candidato per l’Oscar straniero, quando poi invece si scelse il film Im Labyrinth des Schweigens, solo per il fatto che la metà di “Victoria” non è in tedesco, ma in inglese e spagnolo.

Infine nel terzo film drammatico, Mitte Ende August, un moderno Affinità elettive, il rapporto della coppia al centro della vicenda è minato quando ricevono la visita del fratello di lui e della figlioccia di lei, in un ribaltamento emotivo simile al nostro film

Victoria è dunque a tutti gli effetti un neo-noir, in quanto la “componente” noir è significativamente dentro i personaggi, anche se le figure costitutive dei poliziotti si intravedono solo nelle sparatorie drammatiche, senza però apparire in primo piano. Sono senz’altro presenti in Victoria le discese infernali negli abissi della mente, anche se la rapina è vista, nemmeno da vicino, al di fuori della banca stessa. Film atipico, su vari fronti. Forse per questo ancora più all’interno del nostro amato macrogenere.

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