I Vinti (1953) di Michelangelo Antonioni

Di Matteo Bonanni

Nel corso della sua lunga carriera il regista di Ferrara ha avuto spesso problemi con le produzioni e con la censura. Sappiamo che non amava questo film, in cui non è riuscito ad analizzare quello che voleva e in cui ha dovuto accettare- parole sue – molti compromessi. Ma veniamo ai tre episodi.

Le trame in breve:

Tre episodi per tre delitti ambientati in Francia, Italia e Inghilterra. Protagonisti altrettanti giovani di buona famiglia, senza saldi orizzonti etici che, per svariati motivi, cedono al fascino della trasgressione estrema.

Dopo l’eccezionale esordio di “Cronaca di un amore” di tre anni prima, e nello stesso anno de “La signora delle camelie” e “Tentato suicidio” (episodio di “L’amore in città”), Antonioni realizza questo film dall’ottimo potenziale ma alquanto anomalo.

Girato in tre stati diversi e in tre lingue; questo a segnalare quello che poi diventerà un aspetto centrale dell’opera del regista, ovvero la sua internazionalità. Il film ad episodi all’epoca in Italia iniziava ad avere grande successo e continuerà ad averlo fino agli anni’60, nella stragrande maggioranza dei casi raccoglieva più autori e registi.

Facendo un passo al lato del film, gli anni’50 presentano già con forza, senza però gli idealismi, una gioventù in crisi di identità che non si rivede nelle figure genitoriali e che sente l’esigenza di fuggire, evadere, di “vivere la vita”. In America Hollywood seguirà molto il fenomeno, realizzando film importanti e rendendo immortali attori come Brando, Dean e Clift. Le nuove scuole di cinema racconteranno tutto questo tra la fine degli anni ’50 (si pensi al Free cinema inglese) e la metà degli anni ’60. Questo film di Antonioni si occupa di questo aspetto e intercetta anche il cinema “nero” italiano dell’epoca.

In questi ritratti giovanili è descritta una generazione votata alla ricchezza senza sforzi, in contrasto con quella dei padri che, in parte, ha lavorato duramente; un disprezzo e un totale disinteresse per la vita altrui, così che ammazzare è solo un aspetto di un piano evasivo di tre giovani diversi per estrazione ma accomunati da questi aspetti.

L’episodio francese nella sua semplicità riesce a mostrare questa voglia febbrile di evadere, di essere diversi e allo stesso tempo un’apatia di fondo; non saper comunicare con nessuno, neanche tra coetanei, una violenza repressa che poi esplode senza apparente motivo su quelli di cui sopra.

Alcuni temi cari del regista si possono intravedere, come per esempio lo studio delle città e delle sue mutazioni che condizionano e molto i cittadini e personaggi; la Roma del secondo episodio sembra già anticipare quella dei capolavori futuri, è una Roma spettrale, notturna, dove puoi incontrare contrabbandieri e soprattutto palazzi in costruzione e ancora palazzi in costruzione. Il protagonista brama solo di “vivere” la vita, di avere soldi, non importa il come, importa certamente il quando, ovvero subito. Il suo monologo fatto alla fidanzata è eloquente in questo senso.

L’episodio inglese per stile, fotografia e idea è il più interessante: anticipando le tesi degli anni’60 l’episodio ci racconta di un ragazzo, il più ai margini di tutti quelli raccontati, che è disposto a tutto pur di diventare famoso, più famoso che ricco, è disposto ad uccidere (?), è disposto certamente a mentire, a camuffare, a giocare con la vita altrui, non ha scrupoli.

Nel suo primo film Antonioni, cosa che farà poi molto in seguito, rifletteva (con quella parola cronaca nel titolo) sul rapporto tra realtà e finzione; di “cronaca” nel primo film non c’è molta traccia e anche qui, soprattutto nell’ultimo episodio, riflette con le immagini sugli avvenimenti. Non sappiamo per certo se il ragazzo ha ucciso la donna, anche se il film ci mostra l’omicidio ma potrebbe essere una sua fantasia di poeta, di uomo ai margini della società e dalla psiche ormai traviata.

Quello che è certo è che in nessun episodio viene ricostruito in modo cronistico la psicologia degli assassini; e sicuramente l’apertura e la chiusura in stile cinegiornale appesantiscono un film che comunque è pregevole e ha momenti di grande interesse.

Si possono vedere, come dicevamo, ossessioni e temi dei capolavori futuri e pur non avendo la possibilità di osare in quanto a movimenti di macchina o struttura narrativa, Antonioni riesce comunque a tracciare un discorso sull’Europa, e non solo, dell’epoca e su quei giovani, oltre che iniziare a ragionare sulle psicosi di una società, quella borghese, che sarà il Suo tema.

 

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