Io, Leonardo (2019) di Jesus Garces Lambert

Il film Io, Leonardo di Jesus Garces Lambert, dopo il precedente Caravaggio – L’anima e il sangue, è un esempio seppure mirabile e variegato, di come un progetto cinematografico manchi di unitarietà. Le influenze e gli apporti dati al film sono molteplici ma non riescono a dare un respiro globale, al pari di una squadra di calcio che segue i progetti finanziari di una proprietà, l’applicazione fattiva di una dirigenza sportiva ma non vede nel rettangolo verde la propria organizzazione e la mano dell’allenatore. Allora sorge il dubbio che Io, Leonardo soffra proprio dei molti e forse troppi apporti esterni.

A cominciare dal consulente scientifico del progetto, Pietro Marani, professore ordinario di storia dell’arte moderna e museologia al Politecnico di Milano, sicuramente garante dell’attendibilità storica del film. Un input riguarda l’aderenza agli scritti autografi di Leonardo da Vinci, primo su tutti il suo Trattato di pittura, ma anche lo studio degli innumerevoli progetti e le note biografiche dei contemporanei. Questa influenza caratterizza in Io, Leonardo un maggiore interesse del lato pittorico di questo genio rinascimentale dalle molte sfaccettature ed interessi e soprattutto la sua difficoltà nel concludere un’opera. L’incapacità (che è anche volontà di approfondimento) di Leonardo nel rispettare le scadenza è emblematizzata nel rimprovero di Ludovico il Moro a non essere riuscito a realizzare il cavallo in bronzo promessogli in onore della memoria del padre Francesco Sforza. L’altro diktat di Pietro Marani riguarda la bellezza e gioventù di Leonardo, opposta al celebre e presunto autoritratto, conservato nella Biblioteca reale di Torino, che lo ritrae canuto e anziano. Questa impostazione porta a cercare nel volto di Luca Argentero l’idea di un Leonardo carismatico, capace di emanare grazia e forza “quasi divina”, come disse di lui Giorgio vasari.

Il metodo documentaristico usato per la ricerca da parte di Jesus Garces Lambert è proseguito in maniera rigorosa anche per la ricostruzione fedele degli oggetti di scena, delle invenzioni come il prospettografo e la lira d’argento e soprattutto dei costumi. In quest’ultimo caso grazie all’apporto del pluripremiato costumista Maurizio Millenotti.

In ossequio alla produzione Sky che racchiude tutti i film d’arte nel Progetto immagine e alla distribuzione Lucky Red, assieme alla volontà di rendere appetibile il film, viene seguito un metodo di fiction per la scrittura di Io, Leonardo (titolo originale Inside Leonardo). La struttura narrativa prevede di catapultare lo spettatore nella mente stessa di Leonardo, ovvero in una Camera Oscura in cui le pareti ruotano e il tetto è aperto all’universo, in un perenne contatto con la natura come solo Leonardo sapeva fare. In questo viene in soccorso il visual effect con animazioni e proiezioni che permettono al regista di dare la vita alle invenzioni e ai disegni, come i progettati cavallo di bronzo e affresco della battaglia di Anghieri o le decorazioni pittoriche del castello Sforzesco di Milano. Molte dunque le scene evocative tese a dimostrare il processo creativo alla base per esempio della Dama con l’ermellino (camera degli specchi), che nel film ha il volto di Cecilia Gallerani, dell’uomo Vitruviano, del Cenacolo (modello 3D a dimensioni reali), della Gioconda, dell’Adorazione dei magi e dell’Annunciazione.

L’espressione della coscienza interiore, affidata alla voce narrante di Francesco Pannofino, permette una conversazione tra protagonista e narratore, attivando così lo spazio nella sua duplice valenza di mente e ricordo. La sceneggiatura, a cura di Sara Mosetti e Francesco Olivieri, permette invece di uscire dalla Camera e connettersi con i luoghi in cui Leonardo visse, ovvero Vinci, Firenze, Milano e la Francia; ma anche di dare rappresentanza artistica alla perenne lotta interiore di un’anima sofferente, abbandonato dalla madre, mai riconosciuto dal padre e accusato di sodomia.

Come si è visto, Io, Leonardo è animato da lodevoli intuizioni, a cui seguono altrettanti intriganti mezzi operativi ed apporti artistici, ma alla fine della fiera rimane un cruccio: il respiro dell’opera cinematografica non giunge ad una unitarietà che la contraddistingua e ne permetta una riconoscibilità ed un timbro di autorialità.

Di Marco Chieffa

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