Il cattivo poeta (2020) di Gianluca Jodice

 

Il cattivo poeta è stato uno dei film a patire la chiusura dei cinema ed ora, finalmente, uno dei primi ad apparire sul grande schermo dopo la riapertura. Forse anche per questa interruzione, ma soprattutto per la presenza di lampi che illuminano e squarciano due conformismi altrettanto limitanti di cui parleremo, appare un vero e proprio inno alla libertà. Raccontare il periodo 1936-1938 finale della vita di Gabriele D’Annunzio usando come scenografia lo stesso Vittoriale degli italiani, è stata la scelta fondante del regista Gianluca Jodice.

Il giovane regista napoletano aveva diretto diversi cortometraggi, tra cui La signorina Holibet con cui ha vinto il Sacher Festival, inserito nel dvd I migliori corti italiani. Nella sua carriera spicca Ritratto di bambino, vincitore della menzione speciale al Torino Film Festival e con due candidature per il Nastro d’Argento. Successivamente aveva diretto la serie 1992 e il documentario Cercando la Grande Bellezza. Con questa impostazione alla base de Il cattivo poeta, Jodice, nel garantirsi uno spazio nel panorama della cinematografia italiana, paga due “pedaggi”. Il primo è quello di ribadire l’illiberalità truce e assassina del fascismo, il clima cupo ed insinuante di spie che controllano il “ribelle” D’Annunzio. E lo fa con i soliti clichés del cinema italiano che ben conosciamo: disseminando cioè nella sceneggiatura segnali, come il timore dei genitori del federale Giovanni Comini (figura centrale del film) di essere arrestati quando un alone del bicchiere si deposita sulla fotografia di Mussolini stampata sul giornale; scegliendo in maniera poco originale l’illuminazione di Daniele Ciprì, già assoldato come direttore della fotografia nel film Vincere di Bellocchio; partendo in maniera banale dalle note della canzoncina “Ma cos’è questa crisi?” di Roberto De Angelis. Il secondo è quello di rispettare la memoria di D’Annunzio per avere agio di girare le scene principali nel Vittoriale in “carne ed ossa”, ovvero nella lussuosa dimora di Gardone Riviera nel quale il 74enne D’Annunzio si era esiliato. Questo a volte vuol dire ridurre il film ad uno spot promozionale per pubblicizzare questa sorta di sito “archeologico” e per ribadire l’irriducibilità del grande poeta e letterato ai dettami del regime.

Una volta però onorati questi due conformistici tributi, Il cattivo poeta vive, grazie soprattutto alla splendida interpretazione di Sergio Castellitto, momenti di poetica levità e di finezza. Il momento in cui il vecchio Comandante si precipita a Verona per far desistere l’emergente Mussolini nell’errore dell’appoggio ai tedeschi, è di indubbia capacità visiva. Al posto di un discorso da parte del sorridente ed aitante Mussolini ad un bagno di folla, che viene opportunamente lasciato sul nascere, la telecamera si sofferma sul passo indietro del vecchio e stanco D’annunzio, che abbraccia sconsolato una guardia della milizia e, di lì a poco, lo mostrerà, per contrappasso, impegnato in un discorso toccante ad una piccola folla ammutolita dei reduci dell’impresa fiumana. L’anziano con la stampella, il cui orizzonte non prevede più l’infinito, che vede topi dappertutto, e anche le camicie nere del fascismo gli appaiono solo come “sordide”, riprende magicamente i panni del Vate e del Comandante e fa un discorso maturo e dolente, eroico e razionante, pensando oramai di non avere più uno scopo. Questo è uno dei momenti che ripagano e sostanziano il film di un’aura di freschezza libertaria e di capacità cinematografica, che lo affrancano dal doppio clichés a cui ubbidisce, rimanendo così nonostante tutto un film da vedere e far vedere a chi vorrà andare al cinema.

Il giovane federale Giovanni Comini (ha il volto di Francesco Patanè, al suo secondo lavoro dopo il film per la televisione Aldo Moro il professore), che ha il compito di spiare il grande D’annunzio, subisce così un’evoluzione, che gradualmente lo libera dalla sua cieca osservanza e lo farà invece rispecchiare negli occhi stanchi del vecchio poeta, prendendo idealmente la staffetta di libertà del grande maestro.

La “corte” che affianca D’Annunzio nella sua villa e che trova Comini è ricca di personaggi interessanti e ben tratteggiati.  A volte muoversi esattamente in mezzo agli arredi reali dell’epoca e agli oggetti dannunziani rimane una scelta limitante, come del resto trasporre esattamente le parole scritte o dette in pubblico da D’Annunzio. Rimangono però intriganti le donne di varia età che si prendono cura dell’infiacchito eroe, a volte trastullandolo nei suoi sollazzi sessuali. La prima è Amélie Mazoyer (la Clotilde Courau de La vie en rose), la governante e anche amante che il Poeta aveva conosciuto in Francia quando lei aveva 24 anni e lui il doppio. Il Comandante l’aveva ribattezzata in maniera maliziosa Aélis, che suona come hélice (elica) in francese.

La seconda donna è Luisa Baccara (la Elena Bucci di Chiamami col tuo nome), ufficialmente la “Signora del Vittoriale”. Lei è stata amante di d’Annunzio ma ora deve accontentarsi e sublimare la sua passione, suonando al pianoforte per lui.

La terza donna è Maria, la moglie da cui D’Annunzio non aveva mai divorziato e il cui arrivo gettava sempre nella costernazione Luisa Baccara.

La quarta era la cameriera Emilia (Janina Rudenska), detta il Caporale, odiata da Amélie e Luisa per il suo cipiglio nel dare ordini e per il suo carattere brusco, sempre disponibile a svolgere il massacrante turno della mattina, quando il Vate chiamava spesso desideroso di compagnia anche di prostitute. E responsabile principale della cocainomania in cui d’Annunzio era precipitato.

Ad esse si aggiunge il fedele architetto Giancarlo Maroni (Tommaso Ragno) nel suo ruolo da segretario e l’ambiguo commissario Rizzo (Massimiliano Rossi) con l’obbligo anch’esso di spiarlo. Quando invece Comini tornava a Roma per prendere gli ordini, incontra anche Achille Starace che ha il volto di Fausto Russo Alesi, conosciuto nel film Il traditore.

Alla fine Il cattivo poeta si tinge anche di giallo, dando un’interpretazione sulla causa della morte di D’Annunzio. Ma su tutte le componenti del film, prevale la vena ironica che riesce a vincere la malinconia e a fare de Il cattivo poeta un inno al dissenso come ultimo vessillo della libertà. In questi tempi è un prezioso e raro tesoro.

Di Marco Chieffa

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