The Woman king (2022) di Gina Prince-Bythewood

La trama in breve:

Africa, 18° secolo. Nanisca, generale dell’unità militare femminile (meglio nota come le Amazzoni), e sua figlia Nawi combattono i francesi e le vicine tribù che hanno violato il loro onore, hanno schiavizzato la loro gente e hanno minacciato di distruggere tutto ciò per cui vivevano.

Partirei da questo aspetto, considerando che si parla di un progetto ideato, scritto, diretto ed interpretato da donne. Nello specifico, è stata fondamentale la forza di volontà di Maria Bello, che ha scritto il soggetto basandosi su personaggi esistiti.

Negli ultimi vent’anni Hollywood, nella sua smania culturale-dittatoriale, ha affrontato la questione degli afroamericani in tanti modi, per anni è stato uno dei temi principali, e questo film arriva ormai dopo che l’onda è giunta sulla spiaggia.

È un film che cerca di unire messaggio sociale/storico ed azione; quest’ultima è ottima, ben fatta, classicheggiante, inserendo una storia semplice, con un intreccio collaudato dove quello che di solito capitava ad un eroe maschile, ora capita ad un’eroina.

Questo ribaltamento dei ruoli è forma e sostanza dell’ultimo cinema americano e in parte non solo americano. Il film cerca di portare avanti varie istanze, ovvero il ruolo della donna nella storia, l’Africa del ‘800 e la violenza degli schiavisti europei ed americani; il tutto in un ambito prettamente spettacolare.

Tralasciando la storica propensione schizofrenica del cinema americano e della cultura americana, concentriamoci sul film. Vediamo questa legione di donne guerriere che vivono nel palazzo, da sole, senza uomini, libere dai vincoli sociali e soprattutto animate dalla voglia di proteggere la propria nazione ma anche, in parte, mosse da un senso di rivalsa verso gli uomini (spesso violenti, schiavisti e imperdonabili).

La protagonista, oltre ad essere una guerriera e una madre (lo scopriamo strada facendo), è una politica a modo suo; ha una visione della società, “ideale (?), e della sua nazione, nella quale si importa il prodotto locale e non si vendono gli schiavi, pur se appartenenti a tribù vinte in battaglia.

Si sviluppano nel film anche altre sottotrame, tra le protagoniste e verso il genere maschile, oltre alle scene di scontro fisico che sono, come dicevo, ben fatte e ben coreografate. In questo continuo riposizionamento, che non basta mai, del ruolo della donna nel Cinema, dentro le storie e con una rilettura della Storia delle donne, questo film si inserisce e riesce ad essere un passaggio in più di altre pellicole simili.

In conclusione, The Woman king è un film che forse ha il rischio di dilungarsi troppo, ma è veramente un “problema” sistemico. Di contro, ha vari punti di forza ed interesse. Oltre allo sviluppo che è ben fatto, c’è un cast ottimamente diretto, la fotografia è ottima, la regia solida, precisa, senza velleità particolari; ma la gran forza sta tutta nel voler continuare a capovolgere gli stilemi del genere, con la sua declinazione prettamente maschile.

Vediamo una serie di donne forti, orgogliose, belle, e con un’idea di società a sé stante rispetto agli uomini, seppur il re rimanga un uomo. C’è da ricordare, comunque, che siamo nell’800, di conseguenza, seguendo questa impostazione, possiamo “perdonare” e non analizzare la schizofrenia culturale di Hollywood e dell’occidente in generale.

Rimane una domanda “tecnica” alla fine della visione: questo film avrà un pubblico? E quale sarà? È un film d’avventura/azione si potrebbe dire, con passaggi sulla storia, ma soprattutto di rilettura della storia attraverso una lente di ingrandimento su un passaggio indubbiamente poco noto. La curiosità rimane e solo il box office potrà dare una risposta.

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