The Irishman (2019) di Martin Scorsese

Prendete Charlie e John, protagonisti di Mean Steets, Tommy Como di Toro Scatenato, Henry, Jimmy e Tommy di Quesi Bravi ragazzi e infine Sam e Nicky di Casinò; Bufalino e Sherran sono dei loro figli illegittimi, Scorsese, con questo gioiello di fine decennio, definisce e sancisce la riflessione ultima sul suo cinema e sul genere di cui è assoluto maestro.

La trama in breve

Frank Sheeran è un veterano della Seconda Guerra Mondiale e un autista di camion quando incontra l’uomo del destino, Russell Bufalino, boss della mafia a Filadelfia, che vede in lui il tratto principale di un buon ufficiale: l’affidabilità. Le famiglie di Frank e Russell stringono un’amicizia che va al di là (ma non al di sopra, come vedremo) del business. Russell è così fiero di Frank che lo presenta a Jimmy Hoffa, il capo del sindacato dei camionisti, più popolare di Elvis e dei Beatles messi insieme. Hoffa è vulcanico e brillante, calcolatore e stratega, ma anche affettuoso e seducente. Frank non è immune al suo carisma e diventa il suo guardaspalle, il suo consigliere e, forse, il suo miglior amico. Il viaggio di questi tre personaggi attraverso gli Stati Uniti si mischia ad alcuni fatti che hanno segnato la nazione, ci porterà ad un finale complesso, duro ma toccante.

A quasi ottant’anni, Martin Scorsese dirige il suo film più lungo, che assorbe in sé tutto il suo cinema, soprattutto il lato gangster movie, ma non solo, e diventa anche una parabola personale, sui rapporti umani, sull’ineluttabilità delle scelte, sulla vecchiaia e soprattutto un’alta riflessione sulla morte.

Il maestro nato e cresciuto a Little Italy, prende in mano un romanzo e una storia affascinante, violentissima, che si intreccia con la storia con la S maiuscola; Frank Sheeran, questo soldato di origini irlandese, avrà a che fare con i passaggi decisivi della storia americana del Novecento: la Seconda guerra Mondiale, La Baia dei porci, l’assassinio di JFK, il Watergate, l’egemonia mafiosa, tutti questi fatti faranno parte della vita di quest’uomo, un killer spietato.

Frank è prima un bravo soldato, uno che esegue gli ordini, che non si fa troppe domande, e poi un killer perfetto, avendo solcato la linea della moralità in guerra, non dando più importanza alla vita altrui, ma solo e soltanto alla sua e quella dei suoi parenti, per lui non ci sono dilemmi morali, non ci sono dubbi, è un uomo che agisce: minaccia, uccide, agisce!

Fino alla fine Frank non ha un pentimento, è un uomo coerente in questo senso, sa di aver fatto del male ma, dal suo punto di vista, non avrebbe potuto fare altro. Nella sua vita, oltre alla seconda moglie, sono importanti due incontri, il primo con Bufalino, uno straordinario, forse il migliore dei tre protagonisti, Joe Pesci, che è un boss molto influente e che capendo l’uomo che ha di fronte lo fa diventare il suo braccio destro, il suo protetto. Bufalino è un boss vecchio stile, è immischiato in tutto e sa tutto, è un uomo in apparenza molto calmo e “ragionevole” che segue le regole della vecchia mafia, ma che accetta i cambiamenti e che influenza insieme agli altri boss l’andamento della storia americana.

Il secondo incontro è quello con Jimmy Hoffa, un personaggio famoso e influente della sua epoca, il capo del più importante sindacato americano a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, un uomo viscerale, scontroso, che si vede come un re intoccabile. Hoffa è stato un uomo controverso, colluso con la mafia, eppure capace di aiutare milioni di lavoratori. Al Pacino lo interpreta con grande forza ed entusiasmo, urla e strepita con tutti, ma è anche divertente, spudorato e iracondo.

Sono tre personaggi molto diversi, ma ci interessano molto, perché Scorsese non è interessato alla Storia, quella vera, la segue, la incorpora nel film, ma non siamo ne Il Padrino, è interessato all’evoluzione del protagonista e a quella dei suoi due personaggi cardine e con loro all’evoluzione di un genere tutto.

Con Quei Bravi ragazzi, il nostro amato regista, aveva tracciato un ritratto definitivo degli usi e costumi del mafioso, anche lì il protagonista era un irlandese, un film che è uno studio antropologico, ma soprattutto la rappresentazione di un talento registico e visivo senza pari. Con The Irishman Scorsese porta a compimento la riflessione su questo genere, che tanto gli ha dato e a cui tanto ha dato, dopo averci mostrato la nascita e le modalità di un killer perfetto, senza rimorsi, capiamo nel corso della storia perché non ne ha, e dopo aver intersecato la sua vita con quella di molti e con i fatti che hanno cambiato un’epoca, ci mostra il declino, la fine di quest’uomo, anche lui piegato dalla vita e dalle sue scelte, in un finale che ridimensiona tutto; i mafiosi, come gli onesti, finiscono così.

Scorsese e il suo sceneggiatore riflettono sulla vecchiaia, sui suoi dolori fisici e morali; nonostante i tremendi omicidi che ha commesso Frank ha un solo rimorso ed è quello di non aver avuto un rapporto con una delle sue quattro figlie: Peggy, per questo non trova scuse e anche questo fatto lo rende molto coerente, avendo avuto come priorità, per tutta la vita, sé stesso e i suoi cari.

Scorsese riflette sui rapporti umani, su come questi siano vittime di cause di forza maggiore, su come tutto sia figlio di scelte che vanno seguite fino in fondo, del resto i tre protagonisti la pensano proprio così, sono uomini di un’altra epoca, in tutto e per tutto, che seguono fino in fondo la loro scelta, qualsiasi conseguenza abbia, non tornano indietro, non hanno pentimenti; Jimmy ha creato questo sindacato e ne sarà sempre il capo, per lui non c’è altra via, costi quel che costi, Frank dalla guerra in poi ha capito che poteva solo eseguire, tra una bugia e un omicidio, può solo eseguire gli ordini, è il suo modo di rimanere in vita il più possibile e Bufalino è un boss, segue le leggi della mafia, ma soprattutto si pone al di sopra di tutto e tutti, il potere ma soprattutto la sua vita sono le uniche cose che contano per lui.

In questo intreccio, in questi rapporti di uomini che crescono insieme, che invecchiano, c’è una riflessione del regista sui suoi stessi rapporti umani, del resto, come ha detto spesso, questo è un film fatto con gli amici di sempre, che si sono ritrovati per un progetto ambizioso e unico con l’innesto, per la prima volta, di Pacino; Scorsese e Pacino: già questo basterebbe.

Per la quarta volta si trovano sullo stesso set De Niro e Pacino, gli attori per eccellenza della loro generazione e vedendo il film, nonostante gli sforzi di grafica che non riescono a renderli sempre credibili nelle loro versioni giovanili, si rimane estasiati dal talento infinito di questi due attori che si sono divisi lo scettro di attore della loro generazione, De Niro ritrova se stesso in un ruolo vitale, complesso, e Pacino mostra il suo talento, le sue espressioni e la sua ira con un personaggio che fu anche del suo nemico storico Jack Nicholson; chiude il quadro Joe Pesci, che con questa interpretazione meriterebbe un secondo Premio Oscar.

La regia come sempre è fantastica, tra piani sequenza, carrelli, rallenty tipici del regista, movimenti circolari, seguono un ritmo che è spedito all’inizio, ma è lontano dallo slancio di Quei bravi ragazzi, è un altro film e ci porta fino al finale, che segnala il film come pietra miliare del genere e di questi vent’anni di cinema del nuovo millennio. Il comparto tecnico è perfetto e aiutano come sempre il montaggio e una colonna sonora immersiva e tipicamente scorsesiana.

Martin ha detto che è un film che andava fatto e che va visto, non importa il supporto, io vi consiglio di vederlo in sala e poi di nuovo comodamente a casa, perché oltre alle sparatorie, alla regia fantastica, ad un gruppo di attori e amici che ci regalano un gioiello, Scorsese riflette sull’importanza delle proprie scelte e sui rapporti umani; quindi, togliendo la grande storia e le pallottole, ognuno di noi può riflettere su se stesso attraverso le evoluzioni dei personaggi e attraverso una sceneggiatura precisa.

Per un film che non fa mai sentire la sua durata, una parabola definitiva sul racconto gangster e il cinema, ancora una volta bye Martin Scorsese.

Di Matteo Bonanni

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