Green book (2018) Un futuro grande classico

Siamo ormai giunti alla saturazione rispetto ai film che trattano il problema razziale degli USA. A breve finirà questo fervore che scuote un po’ tutti ad Hollywood e tra un paio di anni si cambierà sicuramente argomento-ossessione.

La trama in breve:

Un italo-americano che gestisce la sicurezza in un locale in mano alla mafia di New York si ritrova (per guadagnare qualche soldo extra) a fare da autista e tutto fare ad un pianista di colore che ha deciso di fare una tournée negli stati del sud. Siamo nel 1962 e c’è ancora la segregazione, i due diventeranno via via amici e affronteranno varie peripezie.

Nel filone dei film a sfondo sociale e razziale, dopo gli ultimi film tra cui quello di Spike Lee (blackkklansman) e soprattutto Black panther, dice la sua anche uno dei fratelli Farrelly (Peter) e lo fa senza il fratello e virando drasticamente rispetto all’umorismo e alle solite gag che hanno contraddistinto i suoi film dal grande successo ma spesso dall’interesse alquanto relativo.

Farrelly (regista e sceneggiatore) si affida ad una storia vera, dettaglio di cui in definitiva ci importa poco, lo fa con una sceneggiatura di ferro, in cui tutti gli stilemi del Buddy movie americano sono rispettati. Non siamo difronte ad un “A spasso con Daisy” al contrario, anche se il riferimento è chiaro e preciso, come sono evidenti tantissimi rimandi a film classici. Quello che sorprende e stupisce del film è la sua facilità di essere si prevedibile, ma anche così genuinamente e piacevolmente classico. Ci sono tutti gli spunti di un film classico americano, scomoderei quasi Frank Capra, non perché il film non sia esente da difetti o non pecchi spesso di buonismo, ma perché la storia veicola un importante messaggio e lo fa intrattenendo e divertendo, facendoci pensare ma anche regalando due ottime performance attoriali. Il film vince e convince quando mostra l’umanità e i cambiamenti di entrambi i protagonisti.

La ricostruzione di inizio anni Sessanta è precisa, la regia semplice ma tesa a scandire i passaggi che portano i due protagonisti ad essere sempre più vicini, gli attori come detto sono ottimi e la musica ha un grande ruolo. Gli autori nello scegliere la storia di questo musicista afroamericano e del suo autista-amico hanno deciso di suggellare il tema razziale, mettendosi nel mezzo di un discorso ormai ampiamente dipanato in tutti i generi e modi. Per quanto riguarda la commedia, forse questo è uno dei risultati più alti e sono sicuro che il film diventerà un classico di Natale, per la sua ottima scrittura, perché va a segno nell’affrontare un tema importante senza grandi pregiudizi e senza cadere nel sensazionalismo del cinema degli ultimi tempi.

Peter Farrelly come detto è un regista comico, che ogni tanto ha fatto anche discrete se non ottime commedie, ormai divenute cult (si pensi a Tutti pazzi per Mary), qui, riesce a realizzare la sua opera più completa, meno graffiante di altre, ma sempre equilibrata con momenti divertenti e altri di commozione. Il film ci regala una serie di sequenze di valore ed è sostenuto da un grande Viggo Mortensen, che seppur lontano dalle sue prove migliori (tutte e due avute come protagonista per i film di David Cronenberg) offre una prova fisica, mimica e recitativa da ricordare, in un anno di prove attoriali molto fisiche e sofferte.

Il film di suo non aggiunge molto sul tema della discriminazione dei neri d’America (tutt’ora attualissima), se non una storia vera di indubbio interesse, ma stupisce per come riesce ad essere al tempo stesso un film fresco e divertente ma anche un futuro classico per famiglie…

Di Matteo Bonanni

Precedente Momios vs upelientos: un epilogo? Successivo Clint a spasso per il Texas…