Gli oceani sono i veri continenti (Los océanos son los verdaderos continentes) (2023) di Tommaso Santambrogio

Di Matteo Bonanni

La migrazione a Cuba è un punto saliente della struttura stessa della nazione; nel corso dei decenni ci sono state varie ondate migratorie di proporzioni epocali, l’ultima che sta vivendo l’isola è di proporzioni imponenti e per tanti motivi, non da meno un’inflazione che ha raggiunto livelli storici. Un dato, tra i tanti per dare un’idea: “Lo rivelano i numeri ufficiali del governo degli Stati Uniti – principale meta di esuli cubani – secondo cui tra il 2022 e il 2023 almeno 533.000 persone hanno lasciato l’isola per gli Usa, pari a circa il 5% della popolazione di 11 milioni di abitanti.”

La trama in breve:
Sullo sfondo di una Cuba decadente e in un bianco e nero lacerato dalla pioggia caraibica, i giovani Alex e Edith, l’anziana Milagros e i bambini Frank e Alain, vivono la loro vita fatta di piccoli gesti quotidiani, di racconti del passato e di sogni di futuro, nel contesto di San Antonio De Los Baños, dove pare che il tempo si sia fermato.

Attraverso queste tre storie il regista ci racconta l’impatto delle migrazioni sulle persone, migrazioni dettate da logiche personali, economiche, politiche. Le famiglie, le coppie, le identità si modificano, cambiano, si dividono.

La forza di questo esordio, così lontano dagli scenari del cinema di finzione italiano degli ultimi anni, sta nella capacità di far crescere e seguire le tre storie con pazienza, senza forzare nulla, senza voler dire qualcosa in più. Il bianco e nero acuisce il lato drammatico delle vicende, insieme alla pioggia che è sì un aspetto naturale dell’isola ma è anche un momento importante per alcuni passaggi delle tre vicende.Le tre storie seguono vari momenti, sono divise in atti canonici, e si intersecano nel finale, mentre all’interno del fluire diegetico ci sono dei punti di contatto dettati da inquadrature o luoghi che si ripetono, mentre cambiano i personaggi posti davanti alla macchina da presa. Il montaggio ci porta da una storia all’altra, lasciando nello sfondo lo stesso luogo, che sia un teatro o un angolo di una casa. La continuità e la contiguità è totale, sono personaggi accumunati da destini simili.
Come spesso nel cinema di Santambrogio (di cui si ricorda il mediometraggio “Taxibol”) l’unità narrativa è affidata ad una coppia: che siano un uomo e una donna, due bambini, la signora e lettere inviate dal defunto marito.

Attraverso la sotto trama della signora capiamo l’evoluzione negli anni della rivoluzione di Castro, lo sforzo patito dagli uomini partiti per ideali e dalle donne rimaste sole; nella modernità invece, in un’altra coppia, è la donna che parte perché non sente più di poter appartenere a quest’isola, a Cuba.
Nel rapporto tra i due fidanzati ci sono molti aspetti interessanti, il rapporto si sfalda a poco a poco, si sfalda sul piano fisico ed intellettuale; le parole cambiano al cambiare dei due personaggi, lui cerca la terra, le sue radici, i luoghi della sua piccola città (come il cinema abbandonato), lei guarda oltre, all’Europa, alla sua realizzazione personale e non di coppia.

Pensando a “Taxibol”, anche lì c’era un personaggio che era andato via e aveva abbondato uno dei protagonisti, in quel caso spinta dal denaro più che dalla volontà di emergere e crescere.
Come per altri film recenti (“A Chiara” di Carpignano) anche Gli oceani è l’espansione di una storia nata come cortometraggio, nel 2019, e questo aspetto è molto interessante e auspicabile per lo sviluppo di un cinema indipendente ma non lontano dal pubblico; la possibilità di emergere attraverso i cortometraggi che, se con idee chiare e una regia capace, possono poi trasformarsi in lungometraggi.

E questo film non è lontano dal pubblico, ha un’anima forte e vibrante: i procedimenti registici sono già ben strutturati, il regista sa quando muovere la macchina pur prediligendo la camera fissa. Difatti nei momenti salienti delle tre storie la macchina, attraverso movimenti o zoom, ci mostra un cambiamento, una variazione nel personaggio, una presa di coscienza.
Un esordio importante, si può e si deve dire, che ti lascia commosso di quanto hai visto anche per quel ricorso finale e letterario; quante lettere ci hanno commosso nel cinema! E quelle immagini non in movimento che scorrono, oltre la voce, ci ricordano la forza di entrambi i procedimenti.
Un film da vedere e un regista da seguire, di certo, che ci mostra Cuba in modo diverso dal consueto.

Precedente Scarface (1983) di Brian De Palma

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