A proposito di Schmidt (About Schmidt) (2002) di Alexander Payne

Di Michela Califano

Schmidt è un uomo che ha riservato l’intera sua vita nel lavoro e senza mai davvero pensare a cosa fosse la sua esistenza, chi avesse intorno e chi fosse esattamente lui come persona. A proposito di Schmidt siamo tutti noi, viventi nella terra della metropoli senza interrogarci e forse mai comprendere davvero qual’è il senso di essere qui, qual’è  il vero  scopo e valore di tutto il nostro perdurare nel tempo.

Adattato dal Romanzo About Schmidt di Louis Begley, uscito nelle sale Cinematografiche nel 2002 e presentato in concorso alla cinquantacinquesima edizione del Festival di Cannes, A Proposito di Schmidt del regista Alexander Payne, narra la vita di Warren Schmidt: un uomo che ha passato la sua intera vita nel lavorare all’ interno della società di assicurazioni e di cui, all’età esatta di sessantasei anni, ne riceverà la pensione. Se per molti questo piccolo dettaglio potrebbe sembrare un grande traguardo, notiamo come per William esso non lo sia realmente e questo lo osserviamo già dai primi fotogrammi della pellicola, esattamente quelli in cui egli rimanere seduto e impassibile all’interno del suo ormai vecchio studio da direttore ad osservare l’ orologio ed attendere l’ora dell’attesa fine a nuova vita e, ancora, lo osserveremo in quel suo stato di costante silenzio a cui non sapremo dare risposta se non la consapevolezza di uomo infelice, triste ma esattamente di cosa ? Eppure abita all’interno di una casa sfarzosa, eppure sua moglie e sua figlia provano per lui un bene immenso; c’è una pace totale che è per il nostro protagonista — interpretato da Jack Nicholson — un rumore assordante e fastidioso. Nel corso della pellicola varie novità ed eventi inaspettati ridimensioneranno la sua vita ed ormai solo Schmidt cercherà di ricostruire quel senso di felicità del suo passato e, a bordo di un camper lussuoso comprato da sua moglie, egli andrà in giro nell’ America di quei posti che gli hanno segnato il cuore portandolo ad essere l’uomo maturo che è oggi.

La macchina da presa lungo tutto il resto del film non esplora l’ambiente, essa è statica e durante tutta la pellicola vengono favoriti quasi sempre i primi piani del protagonista; seppur attraversato da differenti storie e tragici eventi, tutti i personaggi nel film passano in secondo piano, essi appaiono come elementi sfocati anche se figure essenziali alla nuova maturazione del nostro protagonista. La patina di commedia, quel piccolo di sorriso amaro che ci regala il film, lo riscontriamo all’interno della colonna sonora creata dal compositore Rolfe Kent : egli gioca di contrasti e lì dove l’immagine ci narra il drammatico, la melodia va nel suo esatto opposto andando a creare nello spettatore uno stato di stordimento su quale emozione deve provare in quel determinato momento, noi — esattamente come William Schmidt — siamo dunque in balia nel nostro stesso essere. E’ inoltre importante sottolineare quanto all’interno dell’intera pellicola non vi sia particolare saturazione delle cromie, tutto resta piatto ed indifferente negli scenari; quasi ad abituarci al modo di vedere del protagonista la realtà, uno stato di concezione e panoramica del mondo che ne ha assuefatto la vera bellezza dell’ osservare.

William Schmidt come umano ha dunque  paura della morte, egli scappa via della propria casa e viaggia all’interno del suo camper per riscoprirsi prima della sua seconda fine. Schmidt è un uomo che forse non ritroverà se stesso se non la comprensione di quanto, quei piccoli valori e esili gioielli che ha sempre avuto accanto e che non è mai riuscito a osservare e vivere a pieno, siano solo ricordo su quale avrebbe potuto fare molto di più un tempo. Schmidt siamo tutti noi, persone nel pieno del ritmo della vita alla ricerca di un senso, di un motivo per cui finalmente potersi fermare e capire di trovarsi definitivamente in pace e felice di ciò che si ha

 

 

 

 

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