Calm with Horses (2019) di Nick Rowland

Di Marco Chieffa

«Mi è stato detto che ero un bambino violento, di solito verso me stesso.

Sia che stessi sbattendo la testa contro il muro, o massacrandomi le dita fino a che non sanguinassero.

Chiunque fosse stato sulla mia strada era un bersaglio facile.

Ho questo ricordo, di qualcuno che mi trattiene. Mi sta solo trattenendo. Vuole solo che smetta di urlare.

Non so perché sto urlando.

Posso ferire le persone, ma non c’e’ odio in questo, adesso.

Non crediate che tutta la violenza sia opera di uomini odiosi.

Qualche volta è solo il modo in cui qualcuno da’ un senso al suo mondo.»

E’ questo il soliloquio, il fuori campo che ascoltiamo nell’incipit del film Calm with Horses (2019), diretto dall’irlandese Nick Rowland. In queste parole appare in nuce tutto lo svolgimento dell’opera. La violenza è un interruttore che può, con varie gradazioni, essere acceso oppure spento ma, come le ceneri dell’araba fenice, riattivarsi inaspettatamente. Le nocche della mano che si aggiustano prima o dopo l’uso (vero simbolo del film) sono quelle di Cosmo Jarvis, nei panni di un ex pugile Douglas “Arm” Armstrong che lavora come brutale esecutore per una famiglia criminale nell’Irlanda rurale, mentre provvede al figlio autistico.

Calm with Horses è senz’altro il capolavoro del regista Nick Rowland, precedentemente nominato ai Bafta Awards per il suo cortometraggio Slap del 2014, incentrato su un pugile adolescente, in questo caso però ritratto nella propria acquisizione di libertà, quella di esprimersi con il trucco e l’abbigliamento femminile. Del resto, in una breve digressione sulla filmografia del regista, lo sport sembra al centro dei suoi interessi. Nel precedente cortometraggio  Dancing in the ashes (2012)  una giovane ballerina ebrea deve lottare per la sopravvivenza, mentre viene rapita e mandata in un campo di concentramento nazista. Il successivo cortometraggio Group B (2015) ha al centro della vicenda un pilota di rally nel suo ritorno alle competizioni dopo una lunga assenza, in un gruppo storico che negli anni ottanta, epoca d’oro per il rally, era conosciuto per le sue gare fuoristrada incredibilmente pericolose,  per la mancanza di controllo della folla e per alcune delle auto più potenti e sofisticate che il mondo abbia mai visto. Anche l’ultimo film di Rowland del 2022, Floodlights, si basa sulle rivelazioni di un ex calciatore professionista sugli abusi sessuali subiti da giovane.

Calm  with Horses è un racconto coinvolgente di mascolinità torturata e senso di lealtà contrastata, che trascina lo spettatore nella furiosa mentalità da “toro” del suo tormentato protagonista. L’Irlanda rurale in cui è ambientato ha lo stesso sapore “West Country western” dell’epica Cornovaglia di Sam Peckinpah  in Straw Dogs (Cane di paglia); lì il matematico era accompagnato dalla bella moglie del luogo, qui Arm è diviso ma comunque legato alla sua Ursula (interpretata di Niamh Algar), madre del proprio figlio.

Il film è una favola noir di padri falliti (sia Arm nei confronti di un figlio con problemi, ma anche i capi mafiosi irlandesi Devers che vogliono far continuare l’attività dai propri affiliati) e false famiglie, dura e risoluta nella sua rappresentazione di tristi realtà, ma anche intrisa di una trascendenza redentrice. Il ricordo subito va a Charley Thompson (Lean on Pete) dove un solitario quindicenne  con il padre, che si arrangia con vari lavori precari, si trasferisce a Portland stringendo amicizia con un vecchio cavallo di nome Lean on Pete, e con il quale attraversa gli Stati Uniti. Oppure al film The Rider – Il sogno di un cowboy (The Rider) di Chloé Zhao, dove un ragazzo astro del rodeo, vivendo nella comunità dei Lakota Sioux in ristrettezze economiche con il padre e la sorella minore autistica, ha subito danni cerebrali a causa di un incidente durante una gara, che gli impediscono parzialmente l’uso della mano destra e lo hanno lasciato soggetto a crisi epilettiche.

Arm è stato traumatizzato – sia fisicamente che mentalmente – e, da giovane boxeur, non è riuscito a dosare la sua violenza, infliggendo involontariamente la morte. La via di fuga che ha trovato nel suo ruolo di difensore del clan Denvers (che chiama come “la mia famiglia”) lo ha solo fatto diventare un cane da combattimento che risponde ai fischi di richiamo (“c’è un bravo ragazzo”) del più prepotente ed insidioso, quel Dymphna, interpretato da Barry Keoghan. Il musicista e l’attore Cosmo Jarvis, già conosciuto ad esempio in Lady Macbeth, che assomiglia stranamente a un giovane Marlon Brando (vedi Victoria) offre una performance di poche parole ma di una fisicità estremamente eloquente. La sua interpretazione si staglia a metà tra la presenza potente di Matthias Schoenaeters che in Bullhead – La vincente ascesa di Jacky (Rundskop) impersona un allevatore di Limburgo che cede ai loschi affari dei commercianti di carne delle Fiandre, e la vulnerabilità franta di Jason Patric che in Più tardi al buio (After Dark, My Sweet) da il volto, anche lui, ad un ex pugile traumatizzato dopo un incontro in cui ha ucciso l’avversario.

Dopo le parole iniziali dell’incipit, Arm si rende autore di un pestaggio estenuante che però non soddisfa totalmente la sete di vendetta dei Devers, che vogliono sempre ed inesorabilmente di più. Le loro sicurezze si scontrano però con le sue insicurezze, in particolare per quanto riguarda il suo giovane figlio, Jack (Kiljan Tyr Moroney), le cui sessioni di terapia equina ispirano il titolo del film. Quando il potente Arm rimane impotente nel tentativo di calmare uno degli attacchi urlanti di Jack, c’è la prova provata di non avere alcun controllo sull’esperienza di suo figlio. Ma è anche l’eco dell’iniziale voce fuori campo che suggerisce che padre e figlio sono stati a lungo bloccati nella stessa lotta. Arm finisce per cavalcare il cavallo che allevia le pene di Jack, suggerendo che forse questo ciclo distruttivo potrebbe essere, anche per un solo istante, spezzato. Chissà se ci sarà un lido segreto in cui fuggire come spera la sua ex fidanzata con suo figlio, una Cork immaginaria, situata nell’estremità meridionale dell’isola d’Irlanda, sulla foce del fiume Lee.

La sceneggiatura di Joseph Murtagh, a sua volta tratto dall’omonimo racconto della raccolta “Young Skins di Colin Barrett, aiuta a mantenere bilanciati gli elementi contrastanti della narrazione, lo scontro titanico tra la violenza bruta e il richiamo alla vita affettiva. Il direttore della fotografia Piers McGrail contrappone ampie vedute del paesaggio con interni claustrofobici. Si giustappongono lampi di luce solare con vuoti grigi diurni e infernali sfumature notturne di nero e rosso; la demoniaca e disgustosa apparizione dagli occhi rossi di Paudi (interpretato da Ned Dennehy), ovvero il tormentatore capo di Arm, è accanto ai modi mellifluamente gentili di Hector (David Wilmot) che cerca di ingraziarsi una ricca vedova. Anche l’inseguimento in macchina di un Arm in fuga dal suo destino (ancora un collegamento con Victoria, come del resto l’uso coatto della droga) ha fotograficamente un senso di energia spericolata. La colonna sonora elettronica di Blanck Mass dona un tocco di distorsione a melodie malinconiche, contribuendo a miscelare l’asprezza e l’innocenza del film.

A produrre Calm with Horses ci ha pensato la DMC Film, la compagnia di produzione britannica fondata anche da  Michael Fassbender di cui è produttore esecutivo. Un neo-noir d’eccezione da poter accostare a Drive di Refn che viene più volte citato, se non altro per l’apparizione dell’iconico martello. L’Irlanda isolata e periferica si sostituisce dunque alle città americane d’eccellenza come luogo dell’anima, istaurando un ennesimo rapporto fisico con le città abitate. Un particolare esempio di canalizzazione cinematografica della violenza tipica del neo-noir, un tentativo di dare “un senso al suo mondo”.

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