Cutter’s Way (1981) di Ivan Passer

Cutter’s Way è tratto dal racconto Cutter and Bone di Newton Thornburg ed è diretto dall’esule Cecoslovacco Ivan Passer, regista attivo prima in Patria e poi scappato negli USA, dove ha realizzato vari film.

La trama in breve

In una notte piovosa, un giovane assiste a sua insaputa all’occultamento del cadavere di una ragazza; uno scontroso reduce del Vietnam, mutilato e alcolizzato, lo convince a fare giustizia.

Sotto le spoglie di un neo-noir tipicamente anni Ottanta, il regista e gli autori vogliono raccontarci altro. Il film è figlio più della cultura e del nichilismo tipico del cinema anni Settanta, che non del cinema glamour degli anni 80; nella prima scena ci sembra di essere in American Gigolo e Jeff Bridges ha movenze non molto diverse da Richard Gere, protagonista del capolavoro di Paul Schrader. Ci rendiamo conto con le scene seguenti che la storia vira verso un’altra direzione, ma per umori e forse intenti non siamo molto lontani dal celebre film, che col passare del tempo si è innalzato a vetta del cinema di genere anni Ottanta.

Passer è un ottimo regista, che ha svolto una discreta carriera ad Hollywood, in questo film è aiutato dall’intensa fotografia di Jordan Cronenweth e riesce a trasmettere, attraverso la potenza delle immagini e le scelte rigorose di regia, il suo stile e la sua impostazione ancora in parte europea. Catter’s Way è un thriller intimista che ci parla degli emarginati, degli esclusi, attraverso le dinamiche di genere, scavando a fondo nel sogno americano. Interpretando i profili dei protagonisti capiamo molto del film: un reduce ubriacone con velleità da “eroe romantico”, sua moglie alcolizzata e disperata, l’amico giovane e di bell’aspetto che vive di espedienti di giorno e di incontri a pagamento la notte, infine un magnate del petrolio dai modi violenti.

Il sogno californiano, spesso descritto nei film, viene ribaltato e ci troviamo in un incubo. Non ci sono le nevrosi cittadine degne della coppia Schrader-Scorsese (Taxi Driver, Hardcore, American Gigolo), ma è comunque interessante l’indagine sull’alta borghesia dell’Ovest dell’America, e allora la scena in rallenty di inizio film, che ci mostra la festa ispanica in corso nella cittadina, assume un grande valore visivo-morale; nell’incipit appare tutta la dolenza che segna il film.

Il film è segnato da una sensibilità a tratti nichilista e da toni drammatici: ispanici trapiantanti, ragazze uccise, magnati feroci e soprattutto la forza brutale del potere economico; pur con i suoi ritmi lenti, le sue bucoliche e crepuscolari immagini, ci mostra il viaggio in un finto paradiso, notare bene il dettaglio più volte evidenziato del nome del locale “El Encanto” che precede l’entrata in scena di uno dei protagonisti, un viaggio dove tutto è regolato da un gioco di potere irreversibile.

Uscito nel 1981 il film è impregnato degli umori degli anni Settanta post-Vietnam e post Watergate; aleggia in tutta la pellicola un’aria di delusione, di disillusione, di fine di un periodo. Nella realtà come al cinema, l’edonismo e la finta positività stavano per invadere gli schermi e impadronirsi di tutto il sistema culturale ed economico, e allora Alla maniera di Cutter sembra uno degli ultimi esempi di un cinema ancorato alla realtà, in cui le dinamiche di genere servono per inquadrare personaggi in crisi, spesso in cerca di un riscatto che la società non gli permetterà di trovare.

Il ritmo del film è volutamente lento, ma non per questo fa scemare la curiosità verso il finale, che appare scontato, ma che regala una scena di grande impatto emozionale e visivo. Ivan Passer dirige con mano ferma la pellicola, che è stata ingiustamente dimenticata ed ignorata, nonostante la presenza di Jeff Bridges, qui non al suo meglio, ma soprattutto di un John Heard nel ruolo della vita; il suo personaggio riesce ad essere il collante di tutto il film: reduce del Vietnam, ubriacone, idealista e dalle tendenze suicide, così scorbutico eppur infine amabile. Il personaggio è figlio di un umore e di una generazione, quella nata negli anni Quaranta, che ha vissuto la guerra in Vietnam e soprattutto la violenza degli anni Settanta e che in gran parte dei casi non è più riuscita a rientrare pienamente nel tessuto sociale ed economico del paese.  Un tessuto sociale ancorato ,nella finzione come nella realtà, al così detto  “Sogno americano” fatto di allegre famiglie e di tranquille casette sotto il sole, magari della California.

Nel cinema a cavallo tra fine anni Sessanta e inizio anni Ottanta, una seria di registi europei, spesso fuggiti dai rispettivi paesi per motivi politici, sono riusciti a illuminare alcuni aspetti della cultura americana; è questo il caso di Passer che, in questa occasione, è riuscito a non essere solo un mero mestierante.

La fine del sogno americano e gli emarginati: sono temi questi che Hollywood relegherà al così detto cinema d’autore per almeno un decennio, anche se il cinema di “Genere” reggerà l’urto e continuerà a parlarne; guardare oggi Cutter’s Way ha ancora senso. Le sue immagini granulose e l’interpretazione di Heard, con quel finale così drammatico eppure catartico, lo segnalano come un piccolo gioiello che segna la fine di un periodo e di un certo modo di fare cinema.

 

 

 

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