Annabelle Comes Home (2019) di Gary Dauberman

Una casa, tre ragazze e la presenza diabolica del male: in questo consiste il film Annabelle Comes Home, in Italia conosciuto come Annabelle 3. Se non fosse che parliamo di una casa particolare e che il male ha delle sembianze conosciute. Siamo all’interno dell’universo di The Conjuring, una serie cinematografica di film horror che si ispira alla vita reale della coppia dei demonologi Edward Warren Miney e Lorraine Rita Moran (a cui è dedicato questo film per la sua morte avvenuta proprio nel 2019). I coniugi Warren, di nuovo interpretati da Vera Farmiga e Patrick Wilson, appaiono solo all’inizio e fine del film, e la bambola posseduta Annabelle in realtà è solo il deus ex machina, il tecnico multimediale che scatena tutti gli spiriti maligni rinchiusi come lei in una teca di vetro; è una sorta di scrigno maledetto che racchiude un “museo dell’occulto”, conservato in casa durante la lunga carriera dei due demonologi e ricercatori del paranormale.

Settimo film della serie e terzo dedicato alla spaventosa bambola che viene riportata a casa, dopo opportuno esorcismo, anche se si premette che la diabolicità di Annabelle è solo l’involucro e la tara che ha il peso lordo nelle persone che incontra e nella loro più o meno volontaria disposizione ad essere posseduti. Proprio la centralità sulle creature mostruose più che su Annabelle, che nella sua inespressività riesce a scatenare, è il segreto per considerare Annabelle 3 come nuova linfa rispetto ai primi due film, superando il rischio della ripetitività.

L’azione, svolta in solo 24 ore, ha come protagoniste Judy (Mckenna Grace), la figlia dei Warren che sta per compiere il suo compleanno, la sua babysitter Mary Ellen (Madison Iseman) e l’amica Daniela (Kate Sarife) che vorrebbe comunicare con il padre da poco defunto. Proprio quest’ultima sarà la scintilla che libererà Annabelle nel suo solito obiettivo di impadronirsi di un’anima. E lo farà facendosi aiutare da tutte le creature che già conosciamo dai precedenti film e che ora assurgono al ruolo di protagonisti. A cominciare dalla scimmietta carillon, al telecomando latitante, alla spettrale suora Valak, al traghettatore di anime con le sue monete rotolanti, alla sposa assassina, al televisore Philco Predicta che mostra il futuro, per finire con il lupo mannaro che si aggira nel cortile, tra le galline, a spaventare un pretendente della bionda ed inesperta babysitter.

La specificità di Annabelle 3 sta nella capacità di diversificare le ripetizioni tipiche del genere horror. Addentrarsi in spazi bui, seguire voci inquietanti o cercare la chiave per aprire stanze proibite sono quelle azioni che la maggioranza di noi non farebbe e che invece appaiono negli horror, compreso questo film. La diversificazione invece che contraddistingue Annabelle 3 consiste proprio nello sfruttare le infinite potenzialità della stanza segreta dei Warren, una specie di valigia dell’attore che conserva la sua storia ed i suoi personaggi migliori. Ciò consente di rinunciare al jumpscare più gratuito, che spesso anima gli altri horror più stantii e scontati, agli shock di montaggio e sonoro che invece qui non servono e alle vittime slusher, che sono minacciate ed anche colpite ma rivelandosi solo un’illusione; si punta decisamente su ciò che si vede, e si gioca sulle atmosfere che dipendono dal visibile.

Il merito va anche a Gary Dauberman, all’esordio come regista ma che in realtà è il creatore di tutti e tre i capitoli che compongono la storia di Annabelle infondendole una dimensione mitica ed arrivando al risultato di un racconto che ha molteplici componenti: romanzo di formazione sugli adolescenti, di amicizia come meta da conquistare e clinico su eventi traumatici. Dauberman è stato anche il creatore di It e precedentemente di molte ghost story, e questo film è dunque la sua consacrazione.

Annabelle 3 diventa un contenitore dove convivono moltissimi universi, quello dei teenager, pieno di bulli, feste di compleanno con le torte e giochi da tavola, ma anche quello degli adulti; oppure quello dominante femminile ma anche quello maschile. La componente puramente horror apparentemente è mitigata rispetto ai precedenti, ma questo passa in secondo piano rispetto ad altre qualità. Innanzitutto crea il personaggio di Judy, la figlia dei Warren, che ha tutte le potenzialità per crescere e diventare una futura protagonista di un altro capitolo della saga. Riesce inoltre a “citare” in maniera intelligente gli altri film della serie, attraverso l’uso di proiezioni, registrazioni sonore ed altri mezzi multimediali agiti da Annabelle, una vera e propria “regista” invisibile. Infine il film ha la lucidità di esporre una morale, un messaggio che possa far leggere la possessione e la malvagità con occhi diversi, intravedendo nella morte e nel male l’altra faccia della stessa medaglia che ha nella parte opposta la bontà e la generosità, impossibile da apprezzare senza il suo contrario.

Di Marco Chieffa

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