Tre Piani (2021) di Nanni Moretti

La triste realtà è che non so bene cosa pensare di questo film. Premessa: io non amo Moretti, lo ritengo un regista troppo ombelicale, che parla sempre dei fatti suoi. Mi è piaciuto invece il romanzo di Eshkol Nevo e anche il film a conti fatti mi è piaciuto perché è abbastanza fedele al libro. Io credo che Tre Piani sia un film che parla fondamentalmente di noi esseri umani e di come siamo diventati. Sono, come nel libro, tre storie che si intrecciano. La prima storia riguarda un giudice severo (interpretato dallo stesso Moretti) che però scopriamo essere un padre non proprio all’altezza del suo compito: il figlio si ubriaca e uccide una donna con l’auto e questo giudice va in crisi con la moglie. Si rende conto di non aver trasmesso i valori al figlio o qualcosa del genere. Contemporaneamente il figlio ha problemi psicologici perché non realizza la gravità dell’atto che ha commesso e addirittura arriva ad accusare il padre si essere stato lui a commettere il donnicidio e lo aggredisce picchiandolo. Morale della favola: fra padre e figlio non mettere il dito che non fa rima ma suona bene lo stesso. È drammatico, sono personaggi imperfetti che non fanno altro che commettere errori. Non è un film per allegroni, ecco. Nella seconda storia un padre è fondamentalmente ossessionato dalla figlia e teme che qualcuno possa farle del male. In tal caso l’ossessione si scatena sul vicino di casa che gli fa da babysitter. Il padre (interpretato da Riccardo Scamarcio) si convince che questo vicino abbia abusato della figlia e la sua ossessione arriva a tali livelli che coinvolge anche la nipote dell’anziano signore, la quale si inserisce nella sua ossessione proponendogli di controllare le mail dei nonni. In realtà la ragazza vuole solo avvicinarlo e stare con lui, infatti, i due finiscono per scopare e questa è la parte più divertente del film (Il ché è tutto dire). Nella terza storia una neomamma deve occuparsi da sola della figlia perché il marito è sempre fuori per lavoro. La solitudine la porta a sbroccare, come la madre che è in una clinica. In più, come se non bastasse, deve fare i conti col fratello del marito che è un poco di buono. Ecco, come vedete, Moretti scava nuovamente nell’umano e nella sua follia: ci sono tutti gli ingredienti per un horror psicoanalitico di classe: la solitudine, l’ossessione, la malattia mentale, la paura dell’altro. Ma il film a volte è un po’ lento, come tutti i film di Moretti, e non si capisce bene dove voglia andare a parare. Finisce con l’essere cupo e basta. Come diceva Roger Rabbit: che cosa ti ha portato ad essere sempre così cupo? È vero che è tutto nel libro, ma insomma non c’è spazio per salvarsi da Moretti né lui né dà ai suoi personaggi per salvarsi da soli. Che tristezza! È un film sulle ossessioni degli intellettualini de sinistra. Mbah….
Io non sono un critico cinematografico: non è che lo sto stroncando, a me è piaciuto il film. Solo che l’ho trovato un po’ pesante come anche il libro da cui è tratto. E la seconda parte è noiosa. A me però è piaciuto, è un capolavoro.

Di Antonio Causi

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