Gli avvoltoi hanno fame (Two Mules for Sister Sara) (1970) di Don Siegel

Di Matteo Bonanni

Il primo Western di Siegel, inizio anni ’50, era un b-movie non privo di momenti intensi, abbastanza lineare eppure efficace e secco come tutto il suo cinema. Del secondo abbiamo parlato già, un film alieno nel suo contesto, a favore della rilettura critica rispetto all’eccidio degli Indiani al livello storico e soprattutto cinematografico, ma anche un piccolo trattato sull’odio culturale e raziale. Il terzo, un anno prima de “Gli avvoltoi hanno fame”, è un western crepuscolare, mortifero, senza speranza, decadente al livello visivo, già in piena seconda fase della carriera del nostro, iniziata proprio l’anno prima (1968) con “Coogan’s bluff”. Dopo di questo, a sei anni di distanza, arriverà il canto del cigno ad Hollywood (e non solo) del western classico, di un eroe di nome John Wayne, nel film crepuscolare per antonomasia (superato solo dal monumentale “Wild Buch” di Peckinpah, che però parla di tanto altro) dal titolo “Il Pistolero”

B-movie movimentato, film sugli indiani, western crepuscolare, e ora anche un occhio agli “Spaghetti western italiani”, con rimandi anche ai western americani anni’50 e ’60 ambientati in Messico; i cinque film del genere di Siegel sembrano esplorare gran parte delle possibilità teoriche del Western.

La trama in breve:

Hogan, mercenario texano schierato con i patrioti messicani juaristi, salva sorella Sarah dalle mani dei banditi e la porta con sé. L’uomo deve incontrarsi con un colonnello juarista per organizzare l’assalto a un fortino francese. Scampati all’attacco degli indiani e tagliate le linee dei rifornimenti francesi, i due raggiungono il colonnello. L’attacco viene organizzato e vittoriosamente portato a termine.

Secondo western consecutivo per Siegel, dopo il parzialmente disconosciuto “Ultima notte a Cottonwood”; secondo film, dei cinque, in cui dirige il suo pupillo Eastwood (che come sappiamo gli deve tantissimo e l’ha sempre riconosciuto) prima dell’anno miracoloso, il 1971, in cui confezioneranno, regista e attore, due capolavori assoluti.

Eastwood è di nuovo con un sigaro in bocca, con il cappello, è un mercenario e il tutto non può che far riecheggiare i personaggi “leoniani”; il soggetto di Budd Boettcher (eccezionale regista del genere negli anni ’50) doveva andare in un’altra direzione invece le varie riscritture, con zampino anche di Siegel e Eastwood, trasformano il film in una pellicola che avrebbe potuto girare Damiani o Corbucci, senza quella connotazione politica tipica degli spaghetti di fine anni ’60.

Il film si apre e si chiude con la musica di Morricone, che ci trasporta da subito in un certo western, gli spaghetti o Tortilla che dir si voglia, con lo scontro tra francesi e messicani divisi a loro volta in due fazioni. All’inizio scopriamo che il nostro eroe ha combattuto, sbagliando dice lui, nella guerra di secessione (Clint tornerà spesso sul tema) e ora fa il mercenario; gli ideali (dei rivoluzionari) sonoShirley MacLaine mostrati a tratti e come sempre in Siegel non sono l’aspetto centrale. Un cinema il suo sempre teso e interessato a mostrare più sfaccettature delle cose.

E a proposito di sfaccettature, come spesso in Siegel, i personaggi non sono quello che sembrano (The Line-up docet); Hogan è si un mercenario ma sotto sotto crede nella rivoluzione, la sorella invece è tutto il contrario di quello che sembra e il film ce lo mostra con divertimento, grazie anche ad un Maclaine in formissima e spassosa.

Come anticipato, siamo nel 1970, il cinema di Siegel è entrato in una seconda fase, meno classica, sperimentale se vogliamo e questa commedia-spaghetti-tortilla-western lo dimostra; si ride di gusto nei duetti tra i protagonisti ma ci sono anche momenti di azione furiosa, come la battaglia finale, la fucilazione dei rivoluzionari.

Eastwood prenderà molto da questo personaggio nei Suoi western, dovendo molto a Leone come a Siegel; del resto, come sappiamo, già Coogan era un cowboy solo trapiantato un centinaio di anni dopo la guerra di secessione e alle prese con l’Est.

Qui Hogan, come ogni (anti-)eroe del western, affronta varie minacce, viene colpito dagli indiani, che compaiono solo per pochi minuti nel film per poi sparire (aspetto tipico del western a sfondo messicano), viene menomato per poi riuscire nella sua impresa e nella conquista della bella, e intelligente, protagonista.

In conclusione è un film tipico della seconda fase del nostro amato regista, alle prese con una rilettura dei generi, che sia il poliziesco o il western per arrivare alla commedia a sfondo spionistico con “Telefon”; divertente, vivace, con la consueta regia solida e mai estetica, recitato alla grande dai due protagonisti.

Eastwood si diverte e fa progredire il suo personaggio tipo, prima di iniziare a tratteggiare la Storia del cinema, come regista. La fotografia è graffiante e ci restituisce la bellezza dei posti (girato in Messico), la musica di Morricone è particolarmente ispirata a partire della title track per arrivare al resto della colonna sonora.

Il western di Siegel si concluderà con “The shootist”, indimenticabile, ma è con questo film che ha toccato il suo vertice di originalità e sperimentazione, portando lo “Spaghetti” in casa, anche grazie al carisma di Eastwood e a Morricone, pur senza perdere l’idea del suo cinema, un grande cinema!

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