Cry Macho (2021) di Clint Eastwood

La trama in breve:

Mike Milo è una vecchia gloria del rodeo, riconvertita in addestratore di cavalli, alla fine degli anni Settanta. Un incidente e diverse bottiglie dopo è in credito con la vita e in debito col suo capo, Howard Polk. Padrone di un ranch con pochi scrupoli e molte ambasce, Polk affida a Mike la missione di ritrovare suo figlio in Messico e di condurlo negli States. Mike accetta ma le cose non saranno così facili. Rafael è testardo come il gallo con cui si accompagna, sua madre è violenta come gli uomini di cui si circonda. Dissuaso a più riprese dagli scagnozzi della donna, decisa a trattenere il figlio al di qua del confine, Mike persiste e convince Rafael a seguirlo. L’improbabile duo incontrerà molti ostacoli lungo la strada ma altrettante corrispondenze, che metteranno le rispettive vite nella giusta prospettiva.

Quanti rapporti tra padri e figli si sono visti nel cinema del mitico Eastwood, che ancora una volta torna sullo schermo, concludendo (forse) la concezione del suo particolare personaggio di “cowboy” della vita!

Padri o madri acquisite, padri o madri incapaci di esserlo; genitori e persone lacerate dal dolore, dalle perdite, dal senso di colpa. Un cinema quello di Eastwood che ha viaggiato sempre su questi binari: Mike è un Bronco Billy quarant’anni dopo, un po’ desolato eppure capace di fare una scelta, di reagire, di vivere.

Il cinema di Eastwood è più grande della realtà, eppure immerso in essa; l’umanità che trasuda dalla sua Mdp è colma di momenti magici, puri, eppure dolenti. Cry Macho è un film semplice e lineare eppure prezioso.

Come ne Il Corriere non c’è solo l’elogio della vecchiaia, della saggezza, ma anche l’incarnazione di un personaggio, quello di Clint, che è cresciuto anno dopo anno, film dopo film, con una coerenza disarmante.

A 91 anni Clint, con la sua voce inimitabile e con i suoi tempi, sentenzia che il “Macho” e quindi il machismo sono cose superate, sono la forza di un debole; le persone sono altrove, sono nelle loro scelte, nell’aiutare gli altri, in un gesto semplice come prendersi cura degli animali o di un bambino perso in una storia troppo grande. Mike e Rafael diventano in questo viaggio “padre e figlio”, la loro amicizia cresce e si fortifica in un tipico romanzo di formazione che è anche un road movie e un neo-western.

In tutti i suoi film il rapporto con i figli, di sangue o acquisiti, svolge un ruolo importante; e anche qui si hanno momenti di “famiglia”. E’ una famiglia poco tradizionale, così distante dall’idea che una certa critica e cultura ha dato negli anni del cinema e dell’idea di questo Signore del Cinema.

Un film semplice, come spesso sono stati i film più personali del regista di San Francisco, un film di piccoli gesti e piccole cose; che riesce però a condurti in una storia di rivincita e riscatto, più che altro di formazione, senza forzare mai la mano, rispettando l’età del suo protagonista e il mutare dell’”eroe”.

L’incontro-scontro, i dialoghi in macchina tra il giovane messicano e il vecchio Yankee, rendono il film vivace e veritiero. Si incrociano, confrontandosi, generazioni e mondi diversi, senza preclusioni e presunzione da parte del vecchio Mike-Clint. Non ci sono dogmi, moniti e, come spesso nel suo cinema, Eastwood collabora con lo spettatore nella comprensione dei personaggi; il dolore e la perdita di questo anziano trapela interamente da ogni sguardo del buon Clint, dalla sua voce che risuona con franchezza nelle orecchie del fortunato spettatore.

La coerenza di questo regista nel suo progredire come artista, attore e uomo, in questo film arriva ad un nuovo punto. Quello che in verità traspare dalla visione di un film di Eastwood, anche nel più “commerciale” dei casi, è che le persone soffrono e portano avanti una battaglia interiore ed esteriore ma che la volontà non basta se non c’è un po’ di aiuto. Per Eastwood le scelte di una persona cristallizzano i momenti della vita: Mike, il protagonista, lo sa bene e giunto alla sua età ha imparato come reagire ad alcuni eventi.

Il mondo di Clint è spesso sempre lo stesso; è un universo dove i soldi dominano tutto ma ci sono uomini e donne, sicuramente pochi, ma comunque capaci ancora di tenere fede ad una parola data, abili ad aiutare chi è in difficoltà per un senso di fratellanza, come ad esempio fa Marta.

All’apparenza può sembra un cinema “vecchio” e nella sua struttura visiva lo è in parte; risulta “classico”, ma l’apertura mentale, il modo in cui il regista, senza giudicare, guida la storia, sono moderni, contemporanei, importanti; non ci sono pregiudizi, ci sono le persone, il rispetto, anche, per lo spettatore.

Cry Macho si prende i suoi tempi, scopre i personaggi. Quello di Mike è l’evoluzione, come detto, di tanti personaggi incarnati da Eastwood; il bambino anche è l’evoluzione di altri personaggi o è un loro fratello (si pensi ai protagonisti di Mystic River e al bambino di Un mondo perfetto). In questo caso specifico il ruolo femminile non è così decisivo, eppure è portatore di messaggi importanti e di un’umanità che è sempre presente nel cinema del nostro.

Clint si prende lo schermo ma senza essere un divo, come ormai da quarant’anni; lo schermo è pervaso da questo mito che tale non si sente, da questo attore-gigante, e il resto del cast risulta all’altezza.

La fotografia di Davis riesce, in parte, a seguire le orme dei suoi predecessori e storici collaboratori del regista: l’amore per le immagini scure, quasi invisibili, la visione della natura, il colore rosso che torna sempre nel suo cinema. Ci sono, immancabili, anche le scene in macchina e sul rapporto tra Eastwood e le macchine bisognerebbe aprire un capitolo a parte.

Un’opera che non potrà deludere i fan del regista ma che può dare molto a chi lo conosce meno. In definitiva si tratta di un cinema intelligente, emozionante. Tante le scene da ricordare, tanti i richiami al cinema di questo maestro. Seppur con un film che può sembrare minore, non lo è, Clint riesce a trasportarci nella sua dimensione, con emozioni profonde, che sembrano solo apparenti, eppure scavano dentro ognuno di noi.

Grazie Clint!

 

Di Matteo Bonanni

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