Downsizing – Vivere alla grande (Downsizing) (2017) di Alexander Payne

Di Marco Chieffa

Come mai, seppur ad una visione attenta, il film Downsizing (2017) di Alexander Payne risulta poco convincente e per nulla riuscito? A questo giudizio innanzitutto contribuisce la compresenza di più film al suo interno, non assemblati a mio avviso omogeneamente e probabilmente tenuti insieme nel fine della realizzazione di una grande idea, in un tentativo di raggiungere il capolavoro che avrebbe dovuto costellare, nelle intenzioni del regista, la carriera cinematografica di Payne. Proprio l’ambizione e la molteplicità di generi dovrebbero essere sostenute da una maggiore responsabilità sia di visione che registica; tenterò di spiegare che ciò non è effettivamente avvenuto, allontanando per di più il regista statunitense dalla coerenza narrativa, in un accumulo sterile di tematiche.

Il punto di partenza è ancora una volta, come per le precedenti commedie, la cittadina di Omaha, da cui proviene Paul Safranek (interpretato da Matt Damon), un terapista occupazionale a cui la vita sembra essergli sfuggita. Avrebbe voluto diventare un chirurgo, ma a causa di vari problemi familiari non ha potuto mettere a frutto le sue competenze. Trascorre così tempo e denaro prendendosi cura della madre. Assieme alla moglie Audrey (Kristen Wiig) vive in una casa passabile ma non spaziosa, non potendo trasferirsi in una più grande. Sembrerebbe l’inizio di uno dei tanti film di Payne, magari con l’aggiunta di un consueto approfondimento condito dalla verve e creatività da commediografo. Se non fosse che qui i ritratti di questi suoi concittadini del Nebraska sono solo una preparazione e un pretesto per un dramma comico che strappa Paul fuori dagli aspetti pratici del suo luogo e in un regno di fantasia.

Del resto Downsizing nel suo incipit è un film di fantascienza, partendo, ancor prima di presentare i Safranek, con degli scienziati norvegesi che hanno ideato una tecnica per rimpicciolire gli esseri umani a circa cinque pollici di altezza. Questa nuova tecnologia è promossa per ipotetiche ragioni ambientali, visto che, riducendo le persone, l’impatto umano sul pianeta sarebbe notevolmente ridotto. La sua efficacia è dimostrata con alcuni autotest, in quanto uno dei leader del progetto ha rimpicciolito se stesso e altri uomini, mostrando per giunta che gli esseri umani ridimensionati possono riprodursi. Il team dimostra infine che quattro anni dell’intera produzione di spazzatura delle trentasei persone rimpicciolite si adattano a un unico sacco della spazzatura a grandezza naturale.

Da questo momento il film, dopo essere stato in parte fantascientifico e in parte commedia, diventa un documentario virtuale sul processo e l’esperienza del rimpicciolimento, o meglio del “diventare piccoli”, parafrasando lo slogan inventato dall’autore prima televisivo e poi cinematografico Steve Martin, soprattutto nel lontano 1977 con Saturday Night Live e con il susseguente album di esibizioni cabarettistiche live dal titolo appunto “Let’s get small”. In un decennio a venire, il ridimensionamento è diventato una pratica diffusa, come Paul e Audrey scoprono quando una coppia di compagni di scuola superiore “diventati piccoli” si presentano a una riunione. Payne, assieme al co-sceneggiatore Jim Taylor, si diverte ad ideare gli strani dettagli di un regno umano miniaturizzato, come il viaggio in autobus in scatole di vetro accanto a passeggeri a grandezza naturale, o la vita vissuta in grandi strutture a cupola che li proteggono da uccelli e insetti a grandezza naturale e dalla radiazione solare, che colpisce in modo sproporzionato i ridimensionati. Naturalmente l’interesse di Payne si calamita sul lato economico-sociale, in quanto al vantaggio ambientale si abbina un incentivo personale, visto che le persone, rimpicciolendosi, fanno aumentare la loro ricchezza. Il patrimonio netto di 152.000 dollari dei Safranek, nel caso del ridimensionamento, diventerebbe l’equivalente di circa 12,5 milioni di dollari. Da qui la decisione di chiamare questa colonia Leisureland e presentare l’affare attraverso piccole persone (con una mini Laura Dern come punta di diamante per “vivere alla grande”) che vivono in mini-palazzi che assomigliano a ibseniane case delle bambole.

Non mi aspetto certo da un regista cinematografico una profonda conoscenza economica, visto che nemmeno certi politici ne sono dotati. Quindi potrebbe esistere una certa confusione tra il concetto di reddito, ovvero flusso di denaro che si guadagna da lavoro o attività, e il concetto di ricchezza, ovvero stock di beni acquisiti quali terreni, abitazioni e automobili. E una certa noncuranza sull’impossibilità di misurare la disuguaglianza, sulla sua differenza con la povertà, sulla distinzione tra l’oggettiva eguaglianza e la soggettiva equità. O in aggiunta sui parametri non economici per misurare la disuguaglianza, come il maggiore tempo libero, il tempo per la famiglia, il lavoro più gradevole. Quando però tutti questi discorsi diventano centrali, in un film ambizioso che cerca di creare una realtà sistemica che ha uno sviluppo di cambiamenti centrali a livello di sceneggiatura, certe mancanze diventano lacune.

Il film ha un’accelerazione, quando i coniugi Safranek decidono di accettare l’offerta. Il processo di restringimento funziona solo con i tessuti vivi, motivo per cui, in preparazione alla procedura, viene somministrato un clistere, tutti i peli vengono rasati e tutte le otturazioni rimosse dai denti. Nel centro di lavorazione, un battaglione di dentisti a grandezza naturale lavora sui pazienti prima del ridimensionamento, e una brigata di piccoli dentisti si mette immediatamente al lavoro sul nuovo ridimensionato all’arrivo – e la storia rivela il disastro che attenderebbe chiunque venisse ridimensionato con otturazioni lasciate intatte. Non tutto naturalmente andrà bene e il primo segno premonitore è il momento in cui gli infermieri sollevano i “neo-piccoli” dai letti verso le scatole con delle sgraziate e volgari spatole metalliche, prefigurando metaforicamente la nuova vita che li attende. Nel microcosmo della vicenda Safranek, proprio mentre Paul viene ridimensionato, Audrey se ne va, facendolo arrivare a Leisureland da solo, per scoprire che la pratica del divorzio è stata già avviata. Amaramente, quando un camion si avvicina alla casa del piccolo Paul con la sua fede nuziale, questa diventa solo un ricordo che ora assomiglia a un hula hoop in oro massiccio.

L’altro punto di svolta di Downsizing, che lo tramuta in un altro ennesimo film al suo interno, è il momento in cui Paul, infelicemente solo, incontra il godereccio vicino serbo, Dušan Mirković (Christoph Waltz), commerciante di ruote, che trascina Paul in una notte di mefistofelico piacere; ma soprattutto al risveglio, la mattina dopo nell’appartamento disseminato di spazzatura, questo incontro gli permette di incrociare una donna asiatica intenta a pulire faticosamente a causa di una grave zoppia, causata da una protesi della gamba inadeguata. Paul fa l’errore di dire alla donna, Ngoc Lan Tran (Hong Chau), che può aggiustarla e va a casa di lei per aiutare a farlo. Da questo momento inizia un altro filone del dramma, forse quello più debole dell’intero film, il cui risultato è un sermone sentimentalistico che spara supposizioni di seconda mano e stereotipi indiscussi, dimostrando, sinceramente ma goffamente, una vena politica.

Invece di usare una delle auto gratuite a disposizione dei residenti di Leisureland, Paul, assieme a Ngoc Lan, prende un autobus pieno di persone di colore. Con un colpo di design, l’autobus attraversa di nascosto un buco nel muro: Ngoc Lan vive in un enorme complesso sovraffollato di poveri situato appena fuori dalla barriera, simile a un labirinto, non protetto dagli animali a grandezza naturale e dagli elementi. Paul scopre che Ngoc Lan è una dissidente politica vietnamita sottoposta contro la sua volontà al processo di miniaturizzazione, e successivamente fuggita rifugiandosi clandestinamente all’interno della scatola di un televisore, subendo l’amputazione di parte della gamba sinistra a causa di un’infezione.

L’ultima, ennesima, sezione del film avviene quando Dušan e il suo socio, Konrad (Udo Kier), hanno bisogno dell’aiuto di Paul per un affare di contrabbando, che li porterà in Norvegia, esattamente nella colonia originaria dei “piccoli” e dello scienziato che ha inventato la tecnologia. Anche Ngoc Lan, oramai in relazione amorosa con Paul, li convince a portare anche lei nel viaggio. In questo caso la satira drammatica di Payne, dopo gli strali contro l’avidità e l’ambizione di ricchezza, si rivolge contro l’ambientalismo ideologico che arriva fino all’auto-segregazione economica e all’isolazionismo. La missione che lo scienziato norvegese assume per se stesso e il manipolo di adepti parte da una presunzione: una perdita di metano nell’Antartico causerà un’estinzione umana di massa, e lui e la sua colonia hanno costruito un profondo rifugio sotterraneo, isolato dalla superficie della Terra e rifornito di provviste per una sorta di Arca di Noè che preservi e rigeneri la specie umana. La scelta che Paul dovrà fare è tra questa messianica realtà (che però assume i contorni di una setta stile Jonestown) o la più prosaica vita che la ragazza vietnamita gli offre, densa di aiuto verso i più bisognosi.

L’arte del dettaglio e del gesto, che Payne ha spesso dispensato nei film precedenti, in Downsizing si annacqua in un moralismo compiaciuto per colpa dell’enorme sfida che ha voluto affrontare e per la quale quasi mai ne è venuto a capo.

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