Dollari che scottano (Private Hell 36) (1954) di Don Siegel

Di Matteo Bonanni

Uno dei protagonisti di ritorno verso casa, come ci dice la voice over (che fortunatamente tornerà solo alla fine del film), si accorge che in un negozio sta succedendo qualcosa: l’antefatto è una rapina con morto avvenuta tempo prima a New York, mentre qui siamo ad LA. L’uomo entra nel locale e nasce poi una colluttazione con spari. Proprio da questa scena capiamo che Siegel è ormai diventato un grande regista; è studiata benissimo, la tensione è alta, la fotografia eccezionale, il ritmo sostenuto. Del resto pochi mesi prima aveva diretto l’eccellente “Rivolta al blocco 11”.

La trama in breve:

Gli agenti Cal (Steve Cochran) e Jack (Howard Duff), con l’aiuto di Lilli (Ida Lupino), cantante di un modesto nightclub, indagano su un caso di omicidio e rapina. Quando riescono finalmente ad individuare un sospetto, dopo un lungo inseguimento in auto, questi finisce fuori strada e muore. Invece di consegnare tutto il denaro trovato sul cadavere dell’inseguito, Cal ne sottrae una parte, e trascina l’onesto Jack in una avventura che rischia di compromettere il futuro di entrambi.

Nono film per Siegel, ormai diventato uno specialista del “genere”, per giunta qui con sceneggiatura della Lupino. Sono note le vicende all’interno del set con lo strano intreccio protagonista/sceneggiatrice (Lupino)- sceneggiatore/produttore (Young)-protagonista (Duff) ovvero ex-marito e marito all’epoca della grande attrice e regista.

Questo intreccio personale-cinematografico, unito alla personalità come regista della Lupino, non ha aiutato il lavoro del grande Don Siegel; però il risultato è tutt’altro che discreto, anzi.

La storia in sé non è particolarmente originale e segue un filone che si stava sviluppando ad inizio anni ’50, ovvero quello del malcostume nella polizia o comunque delle possibili implicazioni col malaffare dei poliziotti. In questo film sia la ricerca del ladro-assassino che la parte relativa alla vita dei due poliziotti è scritta e raccontata con passione ed interesse; anzi è la seconda a rimanere impressa, insieme alle scene d’azione (Siegel ne è uno degli assoluti maestri).

Il ritratto è particolarmente realista, come vuole del resto il manuale del noir. Lo svolgimento diretto è per così dire semplice. Gli attori eseguono alla perfezione, con anche delle scene “erotiche” in un contesto dove la coppia non sposata si mostra come contraltare a quella sposata; seria, con figli, con la casa perfetta, è come si ci fosse un microcosmo “altro” e alternativo rispetto alle consuetudini degli americani anni’50. La fine del sogno è mostrata attraverso la voglia-smania e necessità di avere soldi, di possedere che è alle base della scelta di uno dei protagonisti. Gli studi ci dicono che il film fu visto come morale e moralizzante ma in realtà né in scrittura né tanto meno in regia ci sono questi aspetti.

Siegel confeziona così un altro noir di altissimo livello, dopo il discreto ma non trascurabile “Le Ore sono contante”; energico nell’azione, ben strutturato nel ritratto di questi due poliziotti che diventano alla fine antagonisti dopo esser stati molto amici, dividendosi su un terreno pratico e concettuale, essendo agli opposti in realtà. E con l’aggiunta del personaggio della  cantante, con il ruolo di aiutante per trovare l’assassino, e dimostrandosi una donna piena di sfaccettature, affascinante e ricca di spirito.

Non è particolarmente importante che lo svolgimento e il finale siano ben chiari da un certo punto in poi, visto che non è la conclusione della vicenda dei protagonisti che ha importanza ma come ci si arriva. La fotografia della città, anche in pieno giorno, è funzionale al racconto e soprattutto al progressivo cambiamento dei personaggi e delle persone, che si fanno sempre più corrotte e corruttibili. Esemplare la scena all’ippodromo in cui uno dei poliziotti vede il fiume di soldi che scorre e che lui non avrà mai; il suo sguardo a questi movimenti, a questi conteggi, la sua ansia che sale e poi la scommessa da pochi dollari, quelli che si può permettere del resto.

Un cinema d’azione, mai morale ma spesso etico, per un film forse fin troppo lasciato da parte come fosse un film di serie b nel genere e nella filmografia del regista e che invece non lo è, essendo anzi il primo grande noir/poliziesco di Siegel che, dopo di questo, ne farà tanti altri.

La scena iniziale è grandissima e gli attori totalmente in parte,con l’ineguagliabile fascino della Lupino; proprio lei che in quel biennio ha diretto e interpretato alcuni grandissimi Noir.

(Tralasciamo il commento sul ridicolo titolo italiano, quando quello originale è perfetto: “Private Hell 36”)

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