8 milioni di modi per morire (8 Million Ways to Die) (1986) di Hal Ashby

Di Matteo Bonanni

Come sappiamo, il noir ha un rapporto ancestrale con il ruolo delle città all’interno della storia raccontata. Anche l’ultimo film di  Hal Ashby, questo vero e proprio commiato, rientra in questa modalità. Il piano sequenza con ripresa aerea che apre il film dura più di quattro minuti, mostrandoci la città dall’alto e, poco a poco, avvicinandosi ad una strada ad alto scorrimento, sembra seguire una macchina e poi un’altra. Come sempre nel noir lo sguardo è incerto, ambiguo, non ci sono mai certezze; la storia che stiamo per vedere non è da meno.

La trama in breve:

Matt Scudder era un poliziotto della Narcotici di Los Angeles; quando ha ucciso un giovane spacciatore ha dato le dimissioni. Era anche un alcolista, poi s’è sottoposto a una cura e oggi va avanti ad analcolici. Ora fa il detective privato senza entusiasmo. Quando però una sua amica viene uccisa da un trafficante di droga, Matt esce dalla sua apatia e si mette a combattere. Finale in un capannone pieno di droga.

Il rimando letterario al personaggio creato da Lawrence Block è importante ma ci interessa meno. È interessante invece, di questo film dalla produzione travagliata, capire il rapporto tra i personaggi e il regista per esempio.

Come tutti gli anti-eroi del noir, anche Matt Scudder ha difficoltà ad inquadrare le cose, è dipendente dall’alcol (dipendenza che però affronta e sconfigge) ed è colpito nel fisico e nella mente. Si risveglia ad un certo punto in un ospedale in mezzo ad altri assuefatti, non riesce a camminare, per parte del film si trascina in giro; è un uomo che ha perso tutto e che per un incontro, per fare la cosa giusta (?), si ritrova in una storiaccia di morte e droga.

Matt è alcolista e Ashby ha avuto per anni una dipendenza da droghe ed alcol; è percepibile questo rapporto tra il personaggio e il regista che ha il merito di raccontarlo con poesia. Il film, seppur pieno di momenti poco a fuoco, ha anche delle immagini e una potenza visiva non da poco: si pensi allo scontro nel capannone, durante il quale sembra essere in un contesto di teatro dell’assurdo, dove tutti si urlano contro, e le armi, il fuoco, la droga e la paura sono un mix letale, tutto è eccessivo.

E poi ancora lo scontro finale con quella verticalità, quella tensione tra i due antagonisti, ovvero un luciferino Garcia e un annebbiato Bridges. Il film, scritto e riscritto da tante, forse troppe mani, alterna momenti efficaci ad altri poco entusiasmanti; comunque risulta interessante, intanto come addio al cinema del regista, che morirà due anni dopo, e soprattutto per come riesce a portare avanti il discorso noir.

La storia crime di per sé è abbastanza esile e poco interessante, però nel rapporto tra l’ex poliziotto, diventato detective fai da te, e le due prostituite, quasi un doppio interno al film, ci sono momenti da ricordare. Altrettanto intriganti risultano i personaggi, in particolare i criminali. Assuefatti dal malox, essi si sentono esperti di arte e la comprano, per poi sfoggiarla come se fossero dei bei vestiti (siamo negli anni ’80) e delle belle donne; in tal senso è interessante il siparietto tra due antagonisti con in mezzo la donna, al momento del primo incontro per fare l’affare.

Ashby dirige con vigore il film, creando immagini sbilenche, inquadrature inusuale e piani sequenza. Non è certo un classico crime anni’ 80 che abbia poco da dire, e, nonostante si perda in tante direzioni, forse a causa delle tante riscritture, si rivela un film che ha la capacità di conservare la vitalità e l’irruenza del cinema anni’ 70 del regista.

Il finale con toni romantici, con la scena sulla spiaggia, un bacio visto da lontano, quasi spiato, quel piano lungo, esce dal consueto finale amaro del noir e conserva la forza del piano sequenza iniziale; in questo epilogo è presente la possibilità di un miglioramento delle proprie condizioni, quasi un auspicio che il regista voleva per sé.

Tornando alle immagini, che sono la nostra guida, è di grande impatto la scena del rapimento ed omicidio di Sunny, con quella mano sul vetro, il sangue che schizza, il ritrovamento del corpo gettato sulla scogliera; poi Matt cercherà di ricomporre i pezzi, come sempre nel noir, degli accadimenti, del suo senso di colpa, di quell’incontro casuale, per arrivare agli assassini. Sarà presente il consueto giro di droga, l’avidità (questo lato ci interessa poco), ma rimane una lacuna: non sapremo mai come i due si erano conosciuti in precedenza.

Reduci, alienati, quarantenni in crisi, Ashby ha raccontato spesso la crisi, il momento dove tutto sembra finire; il protagonista è uno di questi personaggi e viene svelato attraverso il genere, il (neo)noir.

Bella la colonna sonora che segue l’azione e scandisce il ritmo, tipicamente anni ’80; belle anche le prove di Garcia e la Arquette. Un film imperfetto, non riuscito, eppure pieno di poesia e forza anche grazie alla regia e ai rimandi personali del regista.

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