Stella di fuoco (Flaming Star) (1960) di Don Siegel

Di Matteo Bonanni

Quante stelle della musica americana hanno poi fatto film? Su tutte si può citare Sinatra, ma Elvis è un’altra cosa. Elvis è un capitolo a parte della storia della musica. Qui come protagonista in uno dei film più apprezzati di una carriera cinematografica che andrebbe rivisitata.

La trama in breve

Sam Burton, che ha sposato in seconde nozze un’indiana, non partecipa a una spedizione punitiva contro i pellerossa che hanno assalito una fattoria e gli altri coloni gli disperdono il bestiame. Mentre lo sta recuperando col suo primogenito Clint, la moglie e l’altro figlio si recano al villaggio indiano per mettere pace. Ma alla terribile catena di vendette incrociate sopravviverà il solo Clint.

Elvis è un protagonista azzeccato per questo film, il suo sguardo è quello giusto, il film non è soltanto il quinto film di “Elvis the Pelvis” ma soprattutto il secondo Western, in anni difficili per lui, di Siegel. Dopo qualche anno il nostro torna ad affrontare questo genere e lo fa inserendosi in maniera inedita in un contesto molto interessante, ovvero parlando di odio razziale e di Indiani.

Il film è giocato tra interni, nella casa, ed esterni, con anche momenti serali/notturni non abituali nel genere; la storia e semplice eppure drammaticamente attuale.

Siegel & co. non si schierano particolarmente, anche se si capisce l’idea che hanno della brutalità usata nei confronti degli Indiani d’America, ma da metà film in poi l’interesse è mostrare questo odio “shakespeariano” che striscia e non può essere fermato: bianchi contro indiani. Non basterà l’unione di due persone a cambiare le cose e a fermare una violenza ancestrale, anzi l’unione sembra alimentare le differenze.

La scena in cui gli indiani, all’inizio, si presentano ed uccidono una delle famiglie amiche dei protagonisti, è brutale e d’impatto come saranno tutte le scene di combattimento del film; Siegel non risparmia mai nulla e non cede alle regole scritte.

Gli indiani visti come minaccia naturale e da combattere e sterminare sono alle spalle del genere, il revisionismo inizia a farsi strada già negli anni’60 e sarà la cifra di molto Western tra fine anni’ 60 e inizio anni ’70; Siegel si pone nel mezzo mostrando a sprazzi entrambi gli aspetti.

È un film di attese, come sarà il magnifico film successivo del regista (L’inferno è per gli eroi), di momenti di forza visiva, diretto con semplicità da un regista capace di uscire ed entrare in ogni genere che ha abbracciato. Il cast è in forma, capitanato da un Elvis che obbiettivamente è credibile e assolutamente nella parte.

Poco meno di novanta minuti per un film che potrebbe essere visto come un classico Western senza molto da dire; e invece la forza della regia di Siegel riesce a fare emergere il tema di fondo, senza retorica, senza buonismi, senza concessioni spettacolari. Dall’odio non si esce se non con un lavoro comunitario e uno sviluppo progressista di ogni aspetto; l’odio è il punto centrale del film, anche se integrati in questa piccola comunità madre e figlio, indiana e mezzosangue, sono pur sempre visti come estranei. I gringo del film non vedono l’ora di ricordarglielo, e la violenza degli altri indiani non può che scatenare una faida senza esclusione di colpi e senza vincitori.

La scena in cui Elvis rivela al fratello e alla ragazza, che lui fin da piccolo l’amava e che lei lo trattava con diffidenza e con superiorità, potrebbe essere esemplare per raccontare la condizione, anche, degli afroamericani dell’epoca (temo anche di oggi).

Un film sul razzismo, sull’odio, sulle radici meticce di una nazione basata sulla violenza e sull’esclusione più che sull’inclusione. Non un semplice western ma l’ennesimo piccolo-grande film di un regista capace anche con mille traversie di far sua ogni storia.

A proposito di Frank Sinatra citato inizialmente, lui e Marlon Brando dovevano inizialmente interpetrare i due fratelli protagonisti, sarebbe stato di certo un altro film.

I due numeri musicali di Elvis sono da ricordare.

“Every man, has a flaming star
A flaming star, over his shoulder
And when a man, sees his flaming star
He knows his time, his time has come
Flaming star, don’t shine on me, flaming star
Flaming star, keep behind me, flaming star
There’s a lot of livin’ I’ve got to do
Give me time to make a few dreams come true
Flaming star
(Flaming star)”

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