Driver l’imprendibile (The Driver) (1978) di Walter Hill

Come dicevo nell’introduzione di Hard Times, il cinema di Hill si genera nel western, con protagonisti erranti, concentrati nelle loro traiettorie così fuori dalla consuetudine (personaggi letterari o cinematografici che siano): e allora tuffiamoci nel primo assoluto gioiello del regista di Long Beach!

La trama in breve:

L’Autista è un asso del volante al servizio della malavita. L’Ispettore prova a incastrarlo ricattando alcuni delinquenti di mezza tacca. La Giocatrice fa da sponda all’Autista per evitargli brutte sorprese e, dopo il colpo, i due hanno i loro grattacapi per disfarsi dei complici traditori. Poi però lei scappa col malloppo. L’Autista è alle corde, ma ancora una volta la polizia non ha elementi per incriminarlo.

In questo caso l’(anti)eroe di Hill non arriva da fuori città, e non siamo più negli anni’30 dell’esordio ma siamo nei coevi (all’epoca) anni ’70, proprio come per The Getaway, che in questo potrebbe in parte riecheggiare The Driver. E’ dunque un eroe silenzioso, come lo era Bronson, come lo sono molti personaggi del western e del noir, che in questo film è la seconda matrice a cui Hill guarda.

Il cavallo dei western diventa una macchina, anche se la macchina nel film assume a volte una sembianza più drammatica, un prolungamento del protagonista che solo dentro di essa si sente vivo, libero e in grado di esprimersi; non siamo certo dalle parti di Cronenberg, ma comunque l’ossessione paranoica per la corsa e per lo stare in macchina va ben oltre quella che può sembrare solo una scelta di sceneggiatura.

Hill riprende da Melville, ma non solo da lui, un minimalismo di grande effetto; i personaggi non hanno nome, non hanno praticamente una storia, sono quello che fanno, fanno quello che sono. Naturalmente il nostro eroe ha i suoi principi, che però oltrepassano la legge ed il sentire comune, basandosi comunque su regole ben precise che non prevederebbero l’uso delle armi … certo a meno che non sia necessario per sopravvivere, o meglio per non soccombere in questa giungla notturna che è la LA del film.

E allora innumerevoli sono le corse e le rincorse per la città che appare quasi irriconoscibile, anticipando in questo molto cinema avvenire degli anni’80. E’ quindi un film assolutamente postclassico, che supera, portandoli alle estreme conseguenze, gli stilemi del genere e del cinema classico, non c’è storia/trama, non c’è analisi dei personaggi, che crescono e si sviluppano con e nelle loro azioni.

Hill torna a dirigere dopo tre anni e lo fa con un’opera che, vista oggi, sembra più ambiziosa di quanto non potesse sembrare all’epoca, completamente intrisa della sua idea di cinema e dei suoi riferimenti filmici.

Le corse sono elettrizzanti e i, pochi, dialoghi hanno il loro effetto; il richiamo a Frank Costello e a vari eroi silenziosi come lui è evidente, ma mai stridente. Il film riesce a collocarsi nella filmografia del regista e ad essere un, piccolo, ponte per il cinema di genere a seguire; i film ispirati a The Driver sono innumerevoli e tutti molto famosi.

Ryan O’Neal riesce ad aderire al personaggio, è monocorde eppure eccezionale nel ruolo, la Adjani recita come fosse nel Nosferatu di Herzog e Dern è nettamente il più fuori giri, ma sempre di una bravura disarmante per essere un eterno coprotagonista.

La fotografia di questa LA notturna è eccezionale, come lo è la regia di Hill che riesce a seguire l’azione senza mai frapporsi, senza mai mostrare la sua bravura; le musiche di Small (già autore della colonna sonora di The Drowning Pool ), che virano sulla fusion, riescono a creare la giusta tensione e alienazione.

È un film di spettri se vogliamo, di personaggi irreali quindi tipicamente cinematografici, un film sulla necessità dell’uomo di spingersi oltre i propri limiti e ancora  un film in cui lo scontro tra l’autista e il poliziotto riprende lo scontro di tanti personaggi della storia del cinema. L’assoluta follia alla guida de l’Autista ha un qualcosa che va oltre le dinamiche del genere, la sua è una filosofia di vita portata all’estremo e fa di The Driver un gioiello in odore di anni’80 che ancora oggi resta esemplare per la forza delle sue immagini e delle sue idee.

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