Corpus Christi (2019) di jan Komasa

 

[…] “Sai in cosa siamo bravi? A rinunciare alle persone, puntando il dito su di loro. Perdonare non significa “dimenticare”. Perdonare significa amare. Amare qualcuno nonostante la sua colpa. Non importa quale sia” […]

Già conoscevo Jan Komasa, il regista polacco nativo di Poznan, proveniente da una famiglia di attori teatrali e musicisti. Avevo visto dieci anni fa, in una arena estiva, il suo lungometraggio Sala Samobójców (Suicide room), in cui aveva scandagliato il mondo dei giovani e la loro ossessione per la vita virtuale. Ero riuscito in visione privata ad ammirare il suo film storico sull’occupazione tedesca in Polonia, intitolato Miasto 44 (Warsaw 44). Ora finalmente, con un ritardo di più di un anno, esce nelle sale italiane Boże Ciało (Corpus Christi), apparso al festival di Venezia del 2019, più volte vincitore in patria e candidato al premio Oscar 2020.

In questo film si evidenzia la conoscenza del mondo giovanile e della realtà sociale polacca. A questi motivi conduttori della filmografia del giovane Jan Komasa, Corpus Christi aggiunge un tema a mio avviso centrale, ovvero l’etica dell’imperfezione. I personaggi principali del film, a cominciare da Daniel, il giovane che si finge parroco, accettano, in maniera anche violenta, di sbagliare.

Si assiste cioè ad un drammatico tentativo di vivere il senso del limite, di far accettare la convivenza (sia personale che collettiva) con le proprie imperfezioni, per essere più umani e anche più capace di relazionarci con gli altri, ovvero di essere animati dalla cristiana “compassione”.  In pratica solo “liberandosi dalla perfezione” si può sviluppare il proprio potenziale umano.

Naturalmente Corpus Christi è quanto di più lontano dall’essere un film morale o intessuto di messaggi edificanti e religiosi in generale. Non a caso la religiosità che anima Daniel nel riformatorio, quando sconta il suo omicidio colposo, è avvenuta prima che inizi il film e non ne viene sviscerato il percorso. La conversione è già avvenuta ma la trasformazione successiva sembra suggerire che non sia Dio ad aver cambiato Daniel, ma la comunità che lo accoglie, il reinserimento nella società. La tunica sacerdotale è quasi una maschera che fornisce una nuova identità, gli garantisce il rispetto degli altri e lo libera dai pregiudizi legati alla sua fedina penale.

In questo senso, la parrocchia diventa per Daniel un nascondiglio dove le persone del suo passato non possono più raggiungerlo. Ha già la Beata Vergine tatuata sulla schiena, recita il rosario di sera e salmodia con fervore canti religiosi sull’altare.

L’assunto di partenza di Corpus Christi, grazie alla sceneggiatura scritta da Mateusz Pacewicz, vira altrove ed punta sul fenomeno dei cosiddetti falsi preti, evento pare abbastanza comune in Polonia.

Dietro i molti casi, Pacewicz sembra intravedere la necessità di sicurezza sociale, sentita in particolare dai diseredati, che vedono il ruolo di sacerdote come un raggiungimento di status sociale. Raccontando la storia di un prete autoproclamato, Komasa disegna un paesaggio religioso della provincia polacca in cui la religiosità popolare maschera l’invidia e la pigrizia intellettuale.

Questo semplice dato di opportunità è però reso più complesso dal fatto che la religione cattolica all’interno della Polonia è vissuta da molti – e di conseguenza da alcuni personaggi del film – come un’ossessione. Ciò causa un’ipocrisia sociale, che non offre seconde possibilità e redenzione a chi non ha seguito la “retta via” fin dall’inizio della sua vita.

Non permettere a Daniel un percorso per diventare realmente sacerdote a causa di un errore, vuole essere nel film di Komasa un atto di accusa della società polacca. La colpa è quella di precludersi la possibilità di avere la forza di cambiare il destino attraverso una trasformazione spirituale, di negare ad un ragazzo che ha sbagliato di espiare e di vivere il mistero del sacerdozio, che ha il potere di trasformare anche la pozza melmosa in una sorgente di acqua pura

L’importanza a mio avviso del valore dell’imperfezione viene confermato anche dalle caratteristiche della comunità che Daniel incontra. Dovrebbe lavorare in una segheria in libertà vigilata, dopo la correzione ma anche la ferocia della vita in carcere; e invece in una chiesetta di Jaśliska, nel sud-est della Polonia, comincia, prima per caso e poi per scelta, il suo ruolo religioso e di redenzione.

Anche il consorzio umano che incontra vive un’imperfezione. Nel vissuto storico ha subito un incidente automobilistico, che ha determinato la morte di molti giovani e quella di un uomo; quest’ultima fa scontare una damnatio post mortem a se stesso e alla propria moglie, ormai esclusa e vilipesa da tutti.

L’incidente che ha causato un tale trauma ai personaggi del film, è volutamente nell’idea di Komasa il simbolo del disastro aereo di Smolensk del 2010, in cui persero la vita il presidente della Polonia e alti funzionari.

Ma nel corpus del film questa comunità “imperfetta” ha un disperato bisogno di una guida diversa, di una persona che riesca a condurli verso la riconciliazione (se non propriamente il perdono), capace di parlargli al cuore per alleggerire il peso della colpa e dei torti subiti.

Corpus Christi risulta dunque un film complesso, in cui anche i personaggi secondari hanno un significato che completa il film e lo innerva di ambiguità vitali. Parlo del prete fariseo che accoglie Daniel per poi cedere il ruolo causa malattia, oppure del sindaco opportunista che cerca di occultare il passato, o della fedele bigotta scandalizzata dagli inconsueti ammonimenti del nuovo confessore. Ma soprattutto penso a padre Tomasz, che durante la sua vita in carcere permea di sé la religiosità del giovane Daniel che, una volta parroco, usa gli stessi metodi ammirati nel suo padre spirituale.

A dare il volto di Daniel è Bartosz Bielenia, che lavora principalmente nell’ambito del teatro indipendente polacco. E’ lui che scava in profondità nella psiche del suo personaggio e nelle sue lotte interiori, con i suoi occhi blu inquietanti; le attente inquadrature di Komasa e soprattutto le luci rivelano come un momento sembri innocente e in quello successivo invece appaia minaccioso. Anche la prima messa di Corpus Christi fatta da padre Tomasz vive di un claustrofobico campo e controcampo, tra soggettive e piani medi; è la stessa messinscena che rivediamo nella celebrazione di Daniel.

L’attore Tomasz Ziętek, nel ruolo del delinquente ricattatore, dimostra la sua bravura, così come Łukasz Simlat nei panni di padre Tomasz, che avevamo ammirato in United States of Love di Tomasz Wasilewski.

E’ significativo che Corpus Christi si inserisca,come altri film polacchi recenti, tra cui Mug di Małgorzata Szumowska e Clergy di Wojciech Smarzowski, in un filone che punta sulle dinamiche di piccoli gruppi che criticano le strutture di potere, mettendole in discussione.

La capacità di dare sostanza cinematografica al concettualismo che permea il film, mette in secondo piano alcune incongruenze presenti nelle sceneggiatura. Ad esempio alcuni critici sottolineano l’incapacità dei creatori del film di spiegare come un ragazzo di un istituto penitenziario minorile abbia una maglietta con un colletto clericale nel suo bagaglio; o come mai un aspirante datore di lavoro non chieda del ragazzo che avrebbe dovuto lavorare per lui; o della facilità con cui si sbarazzano del vecchio parroco del villaggio per creare un posto per il giovane impostore.

 

Un ritorno in sala per un film che merita di essere visto!

 

Di Marco Chieffa

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