Visioni al limite: guida cinematografica per la notte di Tutti i Santi

Di Jacopo Wassemann

 

Ripetete insieme a me:

Al di fuori dei paesi anglosassoni /

la globalizzazione risulta /

nell’adozione culturale di Halloween.

…siete sopravvissuti a quella terzina pseudo-dantesca? Bene. Poco importa che concordiate nella forma o nel contenuto. Halloween è una scusa come un’altra per immergersi in una serie di visioni al limite, che sfidano il buon senso e il bilancio di produzione.

Nel mese di ottobre, la redazione de La Luce del Cinema vi offrirà riferimenti critici e ponderati per condurre un’esperienza allucinatoria condivisa, attraversando tappe poco o per nulla rinomate della storia del cinema. Si tratta in molti casi di film “maledetti,” afflitti da percorsi produttivi infernali che li hanno resi quasi introvabili.

È il caso di The Keep, diretto dall’insospettabile Michael Mann, opera seconda che è ormai diventata, citando Nanni Moretti, “uno splendido quarantenne.” Nonostante la sua reputazione sia cresciuta considerevolmente in certi circoli cinefili, Mann, la Paramount, i Tangerine Dream o chicchessia si ostinano a non autorizzare una versione domestica ufficiale in alta definizione. Nell’attesa, dei santi folli hanno digitalizzato copie analogiche in loro possesso, permettendo a una nuova generazione di spettatori di assistere alla megaproduzione fallita in tutto il suo fascino nebbioso.

La nebbia posticcia abbonda in un altro aspirante campione al botteghino, distribuito nello stesso anno di The Keep e ottenendo simili, deludenti risultati: mi riferisco a Conquest, l’incursione visionaria nell’horror fantastico di Lucio Fulci. Che il film dovesse intitolarsi Mace il Fuorilegge e contenga innumerevoli non sequitur di violenza inaudita, nonostante si rivolga allo stesso pubblico giovanile di Star Wars, dà appena un’idea delle sue inimitabili delizie.

Restando in ambito di volgarità anni 80 di matrice europea, un grande maestro intona il suo canto del cigno (o meglio, del rettile squamato) con Serpiente de Mar, co-produzione ispano-luso-americana firmata dal galiziano Amando de Ossorio, altrimenti conosciuto per la saga dei templari resuscitati ciechi. Film che più maledetto non si può, visto che le difficoltà di lavorazione provocarono il tracollo della salute del regista, obbligandolo alla pensione anticipata.

Due produzioni agli antipodi affrontarono, ciascuna a modo suo, un’altra maledizione, quella associata alle riprese di The Exorcist del compianto William Friedkin: la copia carbone nostrana L’Anticristo, diretta dall’affidabile mestierante Alberto de Martino, e il famigerato sequel Exorcist II: The Heretic del mitico John Boorman. Entrambi i registi rispondono alla classe e alla metodica costruzione in crescendo di Friedkin con un eccesso sbracato che non mancherà di lasciarvi allibiti. Un fatto curioso: entrambi i film godono di colonne sonore notevolissime a opera di Ennio Morricone, ma solo L’Anticristo può vantare la direzione della fotografia magistrale di Joe D’Amato (nascosto sotto uno pseudonimo).

Altro tipo di eccesso, ben più prestigioso e d’essai, si trova in Valerie a týden divů, furbescamente tradotto in italiano col titolo Fantasie di una tredicenne. Non preoccupatevi, non vi metterete nei guai con la giustizia: è solo un film surrealista ceco degli anni 70. Detto questo, se fossi in voi, presterei molta attenzione al motore di ricerca torrent, non si sa mai dove si va a parare…

The Hand è un’altra opera seconda di un acclamato regista americano conosciuto per approcci e tematiche ben diverse: in questo caso, Oliver Stone. Nel ruolo da protagonista, Michael Caine prosegue la sua coraggiosa traversata fra alti e bassi del cinema di genere degli anni 80 nel tentativo disperato di risanare le sue finanze personali. A testimonianza del suo temprato professionalismo, basti considerare che, nell’arco di due anni, vinse un Oscar per Hannah and Her Sisters (prima), e apparve (subito dopo) in Jaws: The Revenge, nel quale un grande squalo bianco gli ruggisce contro come un leone. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.

Per chiudere in bellezza, recupereremo il titolo più consensuale e convenzionalmente spaventoso della selezione: Session 9 di Brad Anderson, un autentico caso di regista in cerca dell’effigie di autore. Ormai relegato al piccolo schermo, i suoi lavori sono accomunati da un’angoscia esistenziale che trascende ristrettezze produttive e premesse talvolta dozzinali. Session 9 fu il suo primo horror e, ad oggi, resta non solo il suo miglior lavoro, ma anche uno dei film di riferimento del genere nel nuovo millennio.

L’inclusione di Session 9 nel ciclo dovrebbe chiarire che in questa sede non trattiamo di cosiddetti piaceri proibiti: se qualcosa risulta gradito ci sarà di certo un motivo, e la colpa non aiuterà a capirne le ragioni.

L’occasionale goliardia contenuta in queste righe è da intendersi come il segno di un’ammirazione profonda per ogni forma di sincera ispirazione della settima arte. Anche e soprattutto quando assume la parvenza indecorosa di un pupazzo di gomma.

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